"Quattro passi Col
Maestro”
INTRODUZIONE
Scrivere commenti
sulla Parola di DIO non è un’impresa facile, anzi, ardua perché ci sono
difficoltà interpretative, di linguaggio e di logica, quindi è un compito solo
per teologi e grandi studiosi.
Però, ad un certo
punto del mio percorso di vita, quando mi sembrava che qualsiasi analisi dei principi etici,
qualunque discorso sulla morale o disquisizione sui valori dell’onestà e
altruismo fosse assolutamente un inutile sofisma, ho deciso di mettermi a leggere
i discorsi di Gesù, il grande Maestro di vita, non avvalendomi d’alcun
riscontro con testi esegetici o riferimenti dottrinali, ma, ispirato solo dallo
SPIRITO SANTO.
Mi sono avviato
in questo studio solo per trovare delle risposte a me stesso, per edificarmi e cercare una fortezza a cui
sorreggermi ed ho scoperto, così, che nella Bibbia si può trovare un mondo
completamente nuovo, fatto di protagonisti unici. Ho iniziato a scrivere una
piccola raccolta di meditazioni, fatte da solo, nel silenzio del mio cuore,
allo scopo di cercare un dialogo col mio Gesù, per conoscere i suoi amici ed i
suoi protagonisti, ed ogni qual volta lo facevo, mi son trovato sempre
coinvolto ed in primo piano, come se tutti i discorsi e le metafore di Gesù
fossero approntati per educarmi.
Sì, ho provato a
fare “Quattro passi col Maestro”, per fare una piacevole chiacchierata con lui,
esporgli i miei dubbi e rammarichi e ascoltare i suoi consigli fatti di
aneddoti e racconti, non del tutto facili. Lui, che mi conosce bene, sapeva che
non poteva licenziarmi solo con un “Coraggio, io sono il tuo Dio!”
raccontandomi storielle di scontata interpretazione morale, ed allora è sceso a
dialogare con me portandomi esempi che potevo capire solo rispolverando tutte
le mie più antiche conoscenze bibliche, letterarie e, addirittura, giuridiche.
Mi sono
arricchito, sono diventato meno superficiale e ho capito che niente di quello
che il Signore mi ha permesso fino a questo momento è stato inutile, doveva
maturarmi e farmi crescere. Ora ho scoperto e ritengo gelosamente la dolcezza
di Gesù nel mio cuore come bene prezioso, ma, per quanto ho imparato, non esito
a mostrare al prossimo la mia ricchezza interiore in Cristo.
Possa il Signore
guidarvi nella lettura e farvi innamorare della sua insistenza, difatti in
tutte le parabole si evince un messaggio unico e costante che proviene dal suo
cuore: GESU’ TI AMA.
Alfredo
Giotti
PADRE NOSTRO
LUCA 11:1-4
Commento del fratello ALFREDO
1. E
AVVENNE CHE EGLI SI TROVASSE IN UN CERTO LUOGO A PREGARE.
La preghiera, per GESÙ, era ritrovare l’intensità della
sua natura divina nella comunione col Padre, quindi era estremamente importante
ed in qualsiasi luogo fosse si appartava per realizzarla. Durante le nostre
giornate possiamo dire che la preghiera è sempre sulle nostre labbra e nel
nostro cuore, cioè ha la priorità
assoluta tra le nostre attività?
La preghiera ci avvicina a DIO, ci mette in comunione con colui che ascolta
sempre anche il nostro più piccolo sussurro,
con essa si stende un filo diretto con LUI, e tutto intorno a noi cambia, perché siamo noi a cambiare prospettiva nella
preghiera.
Molte volte, com’è capitato a GESÙ,
siamo “spiati” da quanti non pregano o che non lo fanno per mille ragioni;
appena dopo ci dicono: “ Beato te che sai pregare bene”. Bene in quel momento
siamo responsabili per lui che quasi si affida a noi per recitare una preghiera
e che non sa che può esprimersi con parole sue. Si assiste ad una grande arsura
di fede, talvolta il silenzio nelle persone è sinonimo di grande imbarazzo e
noi possiamo essere la chiave per rompere questo grande impaccio e avvicinare
al SIGNORE un’altra anima.
Una buona preghiera ha bisogno di uno stato d’animo sincero di un
abbandono a se stessi in una riservatezza speciale, in questo modo si realizza
una perfetta armonia col PADRE. Sperimentiamo nella nostra vita che, se non
dovessero esistere questi ingredienti, sarebbe impossibile anche parlarne. Ed
allora andiamo al nostro PADRE CELESTE con il cuore di un fanciullo e
spieghiamogli come stanno le cose! E’ questo un buon viatico per conoscere poi
anche le sue risposte, impariamo da GESÙ
che dopo la preghiera diceva: “Grazie PADRE per aver esaudito la mia
preghiera”.
2. INSEGNACI
A PREGARE
Nell’umiltà di questo discepolo vediamo che c’è la volontà a superare
un ostacolo: insegnaci a pregare. Abbiamo bisogno di questi slanci nella nostra
vita da credente, per conoscere la volontà del PADRE; abbiamo bisogno di
chiedere sempre, per non sbagliare. Lo stesso PADRE NOSTRO, è uno scambio di
benedizioni, di attenzioni, di richieste; è un riconoscimento reciproco nel
dare e nell’avere. Nell’amore di DIO c’è questa mano tesa, c’è questa
grand’amicizia con i suoi figliuoli e con chi lo cerca.
La potenza della preghiera è superba, giunge fino al cuore di DIO ed
instaura una comunione con il credente, un dialogo quindi. In molti passi della
BIBBIA è evidenziata la potenza della preghiera, la preghiera può tutto; tutto
quello che chiedi nella preghiera abbi fede di averlo ottenuto e ti sarà dato,
ecc…Bisogna sperimentare questo veicolo bellissimo che è la preghiera, in tutte
le sue forme risulta essere un tonico per il credente, una liberazione mentale
dalle tante scorie della realtà.
Di per sé l’uomo non sapeva pregare, sapeva solo farfugliare di tanto
in tanto, ma DIO offrì quest’opportunità per giungere fino a LUI.
Quando nella nostra vita l’insegnamento della preghiera è sempre
presente, il cuore cambia, ma oltre
al PADRE NOSTRO dobbiamo iniziare a pregare con il cuore con la certezza
assoluta che NOSTRO PADRE che è nei cieli risponderà alle nostre suppliche.
Anche se a parole nostre, il dialogo con DIO non deve mai cessare,
dev’essere continuo e martellante, dobbiamo renderlo partecipe della nostra
vita per sperimentare una vera pace e comunione con Lui.
3. QUANDO
PREGATE DITE…
Il Signore non disse ‘diciamo’, ma ‘dite’. Egli pregò per i suoi
discepoli dicendo: “Io ti prego ……”[1],
in una forma al singolare, e già pregava anche per noi, ma non esitò a donare
la SUA preghiera da DIO, ispirata, a chi la chiese.
Se questo è successo per la preghiera eccelsa, può accadere anche con
tutte le forme di richiesta. La nostra preghiera è importante per NOSTRO
SIGNORE, infatti, egli conosce, prima ancora di chiedere, ciò di cui abbiamo
bisogno e ciò che gli stiamo per chiedere.
Un gran ragionamento è inutile, quindi, agli occhi del SIGNORE, perché
bisogna pregare col cuore e non solo con la mente. Sappiamo e conosciamo bene
la nostra vanità nel voler apparire,
quindi ascoltiamo il cuore ed andiamo ai piedi del SIGNORE. Se molte
preghiere stentano ad essere esaudire è proprio per questo motivo, quindi
riprendiamole e correggiamole alla luce della nostra umiltà e del nostro cuore,
facendo zittire le nostre ragioni mentali.
Il Signore ci mette in guardia di non essere come i pagani, ricchi di
molte parole, ma d’essere umili, quindi scendiamo dai nostri piedistalli, dal
nostro scetticismo ed andiamo con fiducia ai suoi piedi; sono sempre luoghi di gran misericordia!
4. PADRE
NOSTRO CHE SEI NEI CIELI……
Riconosciamo che nostro PADRE CELESTE è nei cieli, ma anche insieme a
noi nella figura di CRISTO GESÙ.
Davanti alla figura del Padre posso espormi come figlio e come tale stabilire
una forte comunione con chi può ogni cosa per il mio bene. La figura del padre
coinvolge tutto il mio essere ed il mio esistere, non sono più orfano, ma ho
una paternità celeste, posso piacevolmente importunare mio padre quando
voglio e come voglio con il veicolo della preghiera, posso abbracciarlo e posso
vedere la sua immensità che mi circonda. Se il SIGNORE è luce è attorno a me,
Lui mi possiede, io posso solo balbettare: “PADRE mio che sei nei cieli.”
Se recito una preghiera è
perché il Signore è con me e quindi realizzo una gran comunione con lui, un
tutt’uno. Gesù con Dio aveva un legame ferreo, intimo e, badate bene,
quando era fra noi era esposto alle stesse situazioni di come lo siamo anche
noi e per Lui non era facile andare da una parte o l’altra con la nomea che si
era creato. Una salita controcorrente,
ma sempre con la preghiera sulle labbra, quella era la sua forza, e così anche
noi dobbiamo risolvere i nostro problemi con la preghiera, stendere quel filo
diretto con DIO, ed essere certi che ciò che gli abbiamo chiesto lo darà.
Abbandoniamoci come fanciulli nelle mani di DIO, sperimentiamo la sua
paternità e sapremo godere della sua paterna
benedizione. Quando la nostra vita è senza preghiera ci sentiamo
schiacciati, orfani in una realtà che ci assale, sperimentiamo allora la
preghiera nella nostra vita e troveremo il giusto sentiero per vivere serenamente.
5. SIA
SANTIFICATO IL TUO NOME…
E’ questo il secondo invito alla lode del SIGNORE. Nella nostra vita
abbiamo molti santi a cui eleviamo le nostre preoccupazioni, sono questi i
soldi, le vanità ecc. e, anche se in forma inconsapevole, releghiamo il nostro
SIGNORE quasi alla periferia della nostra vita, ma invece così non dev’essere,
perché il SIGNORE pretende l’unicità della sua santificazione. E’ vero che
presso di lui ogni cosa è possibile, ma nelle Scritture si legge: “Io sono un
DIO GELOSO”, allora eleviamo solo a LUI
la santificazione nel nome esclusivo di CRISTO GESÙ ed apportiamo quella lode che solo a Lui spetta di
diritto.
Senza questa santificazione al suo nome, la preghiera del PADRE
NOSTRO, risulta essere vana, senza riconoscere questa paternità e questa
esclusività si svilisce anche il concetto di PADRE e quindi non passiamo fra la
schiera dei credenti ma fra quelli dei …tiepidi. In altre parole, “sia
santificato il tuo nome” riconosce al SIGNORE una posizione di
grand’esclusività nella nostra vita, considerandolo SANTO e quindi autore della
nostra esistenza.
Un punto dolente è il nominarlo spesso anche nei nostri ragionamenti
personali, l’unicità del suo nome vuole anche gran riservatezza, un posto
speciale quasi intimo, non bisogna nominarlo invano, ma santificarlo nella
nostra vita e riconoscerlo come tale nei passi della nostro esistenza. Il cielo
può essere dentro di noi ed un cuore rivolto a Lui significa una lode perpetua,
una santificazione momento per momento, una celebrazione al suo nome. Il nome
del Signore
deve riempire la nostra vita deve avere la padronanza di noi stessi; dobbiamo
morire in Lui ed essere servitori alla disperata ricerca di un posto nel suo cuore.
Sia “santificato il tuo nome” vuole essere un monito appeso al nostro
collo per ricordarci, nella nostra vita, a considerarlo prima di compiere
qualunque dubbia azione. Talvolta ci dimentichiamo di quest’impegno ed allora
dobbiamo ricorrere nel nome glorioso di CRISTO GESÙ per chiedere perdono e zittire come bambini dinanzi alla
sua presenza, ed essere ripieni della consapevolezza di essere figli dinanzi al
PADRE.
6. VENGA
IL TUO REGNO
E’ questa la terza supplica verso DIO, è l’invito più grande che
ciascuno può rivolgere a Nostro Signore.
E’ una supplica da tifoso, da vero credente, a mio avviso “venga il
tuo regno” è la verifica se un credente è tale oppure no. Se osanniamo la
venuta del Suo Regno, vuol dire che non riconosciamo come essenziale il
presente e quindi auspichiamo la sua venuta come vitale, essenziale e viviamo
alla mercè di questo grande evento.
Significa anche una gran preparazione da parte di ciascuno di noi
affinché il regno ci colmi e non ci trovi impreparati per poi passare al vaglio
del giudizio di DIO. Ma di che regno stiamo parlando? Oppure di quale regno GESÙ ci parlava?
Ci parlava del regno delle sue promesse espresse nelle Sacre
Scritture, di quel regno rigettato dai nostri progenitori, di quel regno
progettato per noi ed annunciato da CRISTO GESÙ.
Ed allora passiamo a conoscere tutto di noi attraverso le sacre scritture per
poter essere meritevoli del Regno di DIO.
A volte si è superficiali nel recitare: “Venga il tuo Regno!” come se
fosse un fatto scontato, quasi ordinario ed invece così non è, perché risulta
essere uno sconvolgimento radicale, una verifica del pellegrinaggio terreno, la
prova del nove se passeremo ad essere fra la schiera dei figlioli di DIO oppure
fra i credenti tiepidi e quindi non meritevoli.
Signore, fa che “Venga il tuo Regno!” sia prima nel mio cuore e che
possa viverlo ogni istante della mia vita e che possa abbracciarlo senza
reticenza alcuna e senza timore per vivere la vera vita da te promessami.
7. SIA
FATTA LA TUA VOLONTA’, IN TERRA COME IN CIELO
E’ questa la quarta supplica a
DIO, la parte più dura da accettare
dall’uomo: “sia fatta la tua volontà.”
Nell’arbitrarietà umana delegare la volontà ad altri ha costituito
sempre un grande motivo di ribellione
quasi una rapina verso se stessi e verso il libero arbitrio di ciascuno.
Su questo punto è imperniata la fede
del cristiano, un durissimo colpo a ciò
che si è ed al risultato che il mondo aspetta da ciascuno di noi. Non dobbiamo nasconderlo: è il punto più
difficile da ingoiare, un rospo duro, per noi che siamo abituati a chiedere e a
non ubbidire.
Se la pialla di DIO è la misericordia, il battente dell’uomo è il Padre Nostro,
in entrambi i casi vi è uno scambio dei ruoli e promesse da mantenere, ma solo nel caso di DIO, la vita ascende alla grandezza. La volontà di
Dio sulla terra implica una serena felicità ed un modus vivendi ottimo e
sereno, infatti le Sacre Scritture sono
il Codice Civile del credente, il vademecum
dell’uomo per non incorrere in orrori ed errori e poter condurre una vita
all’insegna di DIO e della prosperità.
Se ci voltiamo ed esaminiamo il nostro ieri, ci accorgiamo che molti
drammi sono stati cagionati dal nostro modo di vivere e non da quello
suggeritoci dal SIGNORE; meglio in quanti casi abbiamo fatto la nostra volontà
anziché consultare l’ETERNO. La volontà di DIO per l’uomo, è una volontà lungimirante, piena di vita e di abbondanza. Ma quale
sarebbe la sua volontà?
In primo luogo ci vuole vedere salvati per poter vivere l’eternità con
lui, poi ci offre i suoi servigi per
vivere alla grande e senza ansietà alcuna. Noi combattiamo con il SIGNORE a
braccio di ferro, ovvero desideriamo che sia fatta prima la nostra volontà e
dopo la sua, questo ce lo permette a causa del benedetto libero arbitrio.
Lasciar fare al SIGNORE nella nostra vita vuol dire vincere sempre. Ma le
vittorie di DIO sono molto diverse da quelle degli uomini, nel senso che le fa
grandiose mentre noi ci vogliamo
accontentare di briciole.
Signore fa che la tua volontà sia
suprema nella mia vita e che nulla della mia volontà possa intaccarla!
Il dolore, la felicità, il destino,
gli affetti, sono tutti nelle mani del SIGNORE per chi vive in Lui e di certo
Egli esaudirà i desideri del suo cuore. Anche nel dolore DIO trova il veicolo
per renderci forti e non sconfitti, molte volte bisogna zittire e saper
attendere per conoscere la volontà di DIO e non blaterare sempre come noiosi
bambini capricciosi. Al signore tutto interessa, solo che vuole essere partecipe
della vita quotidiana di ciascuno, se
recitiamo il PADRE NOSTRO lui pretende che ci facciamo da parte e non lo
releghiamo in posti o cantucci ammuffiti e trascurati, in questo modo noi non
potremo mai sperimentare la sua volontà in terra.
Se non sappiamo valorizzare la sua
volontà in terra, non potremo mai capire la sua volontà in cielo o “come in
cielo”, dove Lui ha il dominio assoluto.
In questa preghiera, si presume che
abbiamo il modo di modificare la lode al SIGNORE sulla terra e renderla uguale
a quella resa , ora, nel cielo, ma anche di variare la nostra volontà il nostro
“dire la mia” conformemente al luogo dove mi trovo e al modo di capire, e
attendere la volontà di Dio “anche in terra”.
Dobbiamo smetterla di farci
rincorrere da Dio, il SIGNORE ci ama di un grande amore ed io non posso restare
ignaro a questo grande sentimento che mi manifesta attraverso CRISTO GESÙ, non posso non dire AMEN a ciò che proviene da lui, non posso restare
indifferente ad un nuovo giorno che nasce ed a tutto il creato che si muove
attorno a me, non posso rimanere indifferente a chi mi promette protezione e
vita in abbondanza.
Grazie, Signore, che mi
hai inculcato la tua volontà e hai fatto un atto di pirateria nel pretendere la
tua volontà, perché io non sarei stato
mai capace di concepire il bene di me stesso come tu lo intendi e se me
lo hai dato in terra, lo potrò godere anche nel CIELO e lì sperimenterò la tua volontà e ti servirò
per sempre!
8. DACCI
OGGI IL NOSTRO PANE NECESSARIO
E’ questa la prima risposta da parte di DIO
ovvero la prima promessa di
interessamento nel PADRE NOSTRO. Noi sperimentiamo un PADRE grandioso e
sappiamo che nulla è impossibile a LUI. Questa frase è la conseguenza della sua
volontà sulla terra come in cielo,
perché se avrò fatto la sua volontà il cibo mi verrà comunque
corrisposto da DIO, come ed in che modo
non ha importanza queste sono domande degli uomini, ma per certo lui provvederà.
Non bisogna solo pensare al cibo come pane
quotidiano, ma anche tutto il necessario
che a noi interessa: dacci la pace, dacci la gioia, dacci le buone capacità, il
giusto discernimento, la pazienza ecc….
E’ curioso notare che il SIGNORE indica solo il
necessario, ciò che serve nella vita di un giorno.
In molti punti della BIBBIA viene sempre
presentata la vita del giorno, il futuro, il domani non è nel vocabolario di
DIO, perché questi sono frutti di ciò che potremo avere, appunto, durante la
vita dei giorni che vivremo.
E’ un vincere premi o perderli.
Bene, ci parla il re Ezechia[2], quando chiese al SIGNORE di vivere ancora ciò
gli fu concesso. Possiamo fare anche noi di simili richieste? SI’, certamente
ma solo se vivremo alla luce di CRISTO,
nel necessario noi sperimenteremo una grande forza quella della FEDE e
la stessa ci farà fare cose grandiose ed in grande umiltà.
Non sogniamoci mai di corredare il futuro con i nostri sogni, le nostre parole e le nostre forze, sarà come
aver costruito un castello di fumo nella palude del vento. Bene, diceva GIOBBE:
“il Signore dà e il Signore toglie”.
Sono certo che tutte le volte che il SIGNORE ha tolto, mi ha sempre
potato fino al punto giusto, mi ha alleggerito di fardelli inutili, e al
momento non ho potuto comprenderne il motivo. Dio dev’essere sperimentato nel
quotidiano, non lasciamo che le nostre pagine di vita siano delle pagine in
parte scritte ed in parte bianche. Sperimentiamo come il Signore non dimentica
i suoi impegni se lo chiediamo con certezza ed amore, senza pretese arroganti.
In questo modo vedremo che la vita cambierà rotta ed il pane quotidiano sarà
solo una piccola briciola delle benedizioni che ci inonderà.
Si poteva scrivere all’infinito solo del verbo DARE ma voglio lasciare
al mio cuore tutte le suppliche ed
aspettare il domani di DIO che certamente mi porterà le sue benedizioni colme
di gioia.
9. E
PERDONACI I NOSTRI DEBITI…..
Bene sarebbe se fossero stati solo in denaro, ma i debiti del SIGNORE
sono intesi quali infrazioni verso le sue leggi e verso il nostro prossimo.
Purtroppo sperimentiamo che, nella nostra vita,
abbiamo un grande corollario di nemici, di nostalgiche vendette ed altro
ancora, quelli sono tutti debiti, mancato amore verso il prossimo e mancata
applicazione del PADRE NOSTRO nella nostra vita.
Corriamo al Signore affinché ci perdoni, ma
quando questo può accadere? Certamente ogni volta che lo si chiede con un animo
contrito e che non si ritorni a peccare nello stesso modo, diversamente quel debito
ci resterà incollato malgrado la nostra fede da baraccone.
Solo DIO può perdonare e se perdona può anche
sanare, ristabilire e rimettere in piedi
chi è caduto, quindi nella supplica che
facciamo c’è anche implicita una riposta positiva, quella del perdono e di un
ristabilimento nei rapporti di DIO.
Un debito grande da farci perdonare è quello
dell’orgoglio, una ferita infame che sanguina sempre, il nostro ego altezzoso e
furibondo, il nostro modo di primeggiare ad ogni costo per piazzare la nostra bandiera
di grandi, ma tutto sommato questo
tipo di debito ci spezza a metà quando
andiamo dinanzi a DIO “…..chiuditi nella
tua stanzetta e dimmi…”.
Durante la vita di un giorno
accumuliamo migliaia di debiti verso DIO talvolta anche con le mani giunte, pertanto andiamo al SIGNORE prima a confessare
i nostri debiti, in silenzio e senza blaterare nulla, e dopo chiediamo con
umiltà e decoro il suo perdono.
Ci sono dei peccati che sono invisibili ovvero nostalgici, quelli
abitudinari che fanno parte di noi; quelli sono i pesi attaccati al nostro
collo.
Come individuarli? facile sono quelli che gli altri ci individuano
come “…è fatto così, ma in fondo è un bravo ragazzo”.
Noi deleghiamo al SIGNORE di perdonare le nostre colpe, ma questo non significa che “ subito” lo
farà, i tempi di DIO sono importanti fanno crescere ci fanno scoprire cose di
noi che ignoravamo prima, ci mettono sulla buona strada e quando ci voltiamo
indietro scopriamo che nell’allenamento della vita terrena il SIGNORE ci ha
risposto con i suoi tempi. Pertanto il perdono è strettamente di DIO e non possiamo fare altro che chiederlo e basta,
senza nulla pretendere, perché nulla è
scontato dinanzi a DIO.
Il tributo del dedito è la morte, l’umiliazione di sé. Sovente quella
è una strada che quando la si percorre si scoprono le impronte di quando
l’abbiamo ripercorsa allegramente con il peccato che sorrideva.
Voglia il SIGNORE perdonarci tutte le volte che andiamo in ginocchio
dinanzi a Lui, voglia, lo stesso, avere pietà e compassione del nostro libero
arbitrio, voglia il SIGNORE perdonarci
di tutte le volte che di proposito siamo stati CIECHI SORDI E MUTI ed infine possa la sua pietà coprirci, per sperimentare nella nostra stanchezza il
vigore di un PADRE giusto e misericordioso, quale DIO IN CRISTO GESÙ.
10.
COME ANCHE NOI PERDONIAMO AI NOSTRI DEBITORI
Prerogativa del perdono, è perdonare il nostro
prossimo.
Nostro signore nella sua singolarità ha lasciato
che l’istituto del perdono fosse relegato nelle mani di chi lo chiede. Un colpo
durissimo per la nostra richiesta, quasi si può dire che siamo stati colpiti a
morte.
Molte volte non ci rendiamo conto che il perdono
è nel perdono ovvero nella capacità di perdonare il nostro prossimo anche se
questo è palesemente ostile nei nostri confronti.
Ed allora come si fa ad aggirare l’ostacolo?
Abbiamo detto che il SINORE GESÙ
già la conosceva la preghiera del PADRE nostro, ma i nostri progenitori
ignoravano cosa gli sarebbe capitato. Oggi noi sappiamo che andando attraverso GESÙ possiamo avere una certezza in più
di un suo conforto ed aiuto. Certamente siamo più fortunati di ieri, avendo
l’unico mediatore fra DIO e gli uomini CRISTO GESÙ.
Al nostro prossimo dobbiamo perdonare tutto,
chinare il capo e presentare il tutto a DIO, lui che vede ogni cosa sistemerà
la faccenda e noi ci ritroveremo più leggeri ad affrontare il problema stesso.
Noi, abbiamo l’obbligo di perdonare tutto al nostro prossimo altrimenti saremmo
al punto di partenza e scopriremmo un DIO sordo e muto e invano attenderemmo
una risposta da parte sua.
A volte scopriamo che in questa circostanza
abbiamo una fede quasi ridotta allo zero e desidereremmo fuggire da questo
nostro impegno, ma non è così, se non saremo in grado di fare ciò la nostra
FEDE sarà solo e soltanto frutto della nostra fantasia.
Avviciniamoci a DIO e chiediamo la forza del
perdono, dell’umiltà per poter rinforzare la nostra FEDE e camminare con DIO
come un vecchio e caro amico sincero.
11.
E NON ESPORCI ALLA TENTAZIONE
Quando mio figlio aveva pressappoco un anno, a
tratti lo lasciavo per vedere se era in grado di muovere qualche passo da solo,
spesso, però cadeva, con questo non significava che non gli volevo del bene,
anzi ne volevo di più.
Così ed allo stesso modo il Signore fa con noi!
La tentazione è il frutto delle nostre brutte
abitudini di quei modi di fare e di agire che non sono conformi alle leggi di
DIO. Dio, non è un tentatore, se la conseguenza del peccato è la morte vale a
dire l’allontanamento dalla grazia di DIO, saremo le vittime di noi stessi e
del nostro ego.
Non esporci alle tentazioni, quindi, significa,
non ci abbandonare, ma rimani SIGNORE sempre con noi, quando t’invochiamo e
cerchiamo disperatamente il tuo soccorso.
Nostro Signore non può essere un tentatore né tanto meno ha piacere di
vederci in preda a problemi, ma questa è una condizione prettamente nostra con
cui dobbiamo chiedere perdono e soccorso a DIO.
E’ impossibile non essere esposti alle
tentazioni, ironia della sorte vuole che siano proprio queste circostanze a
misurare il livello della fede che abbiamo. Dice un vecchio missionario di
chiesa,: “se non incontri un muro non saprai mai come scavalcarlo”, significa
che, se non incontriamo delle difficoltà, non potremo mai sperimentare l’amore
di DIO e la nostra fede. Durante la nostra vita ci dobbiamo allenare per
riconoscere le tentazioni e scavalcarle, se questo non lo facciamo ci troveremo
un carattere burbero e negativo. Non tutte le tentazioni o le fragilità della
persona possono essere riconosciute, ma
nel confronto con il prossimo troveremo lo specchio ideale per conoscere meglio
noi stessi e non solo i meritati e cercati complimenti che desideriamo
ascoltare.
Cerchiamo di fare la nostra strada con GESÙ di modo che, anche se troveremo
delle buche, avremo a chi appoggiarci e non cadere, guardiamo in noi stessi con
occhio critico e sapremo sopportare le piccole magagne del prossimo che
c’inquietano.
Infine non ci esporre alla tentazione è la
possibilità con cui DIO, nell’offrirci il libero arbitrio, ci ha voluto anche
addossarci delle giuste responsabilità personali.
12. MA LIBERACI DAL MALIGNO
E’ l’ultima supplica dell’uomo a DIO, la più
importante anche perchè riguarda una battaglia spirituale a cui l’uomo da sé
non può fare nulla. Attorno ad ogni uomo ci sono durissime battaglie fra gli
angeli ed i demoni, ma spetta a noi decidere il lato positivo o negativo in cui
stare.
Il Signore ci libera sempre dal maligno anche
quando siamo indifferenti perché siamo preziosi ai suoi occhi, ma talvolta non
riusciamo a vedere i suoi meriti e il nostro io piuttosto prevarica il suo
lavoro silente e quindi primeggiamo nella miseria di noi stessi.
Dio ha vinto il mondo e lo ha vinto
definitivamente in CRISTO GESÙ
questa è la risposta definitiva al maligno che in questi ultimi tempi sta
furoreggiando fra le debolezze umane. Se non ci fosse stata la misericordia di
DIO saremmo stati da sempre cenere per le piante e non avremmo potuto scegliere
il bene talvolta adombrata da tanto male.
La liberazione ci porta a sperimentare una
condizione di piacere di benessere, ma quando questo lo possiamo dire? Magari
in seguito ad una battaglia vinta nella vita, ma dobbiamo anche festeggiare
quando stiamo lungo la via della liberazione, ovvero durante quelle battaglie
in cui ci vuole molta pazienza.
Abbiamo una gran varietà di catene nella nostra
vita, talvolta visibili e talvolta no, gente da sopportare, persone che non
amiamo, sorrisi dovuti e pesanti o meglio non sinceri, esperienze faticose. Il
Signore sta proprio per alleggerirci da questi fardelli, per spezzare queste catene
e rendere la nostra vita gradevole e lineare.
Quindi consideriamo la richiesta del “liberaci”
come un momento per iniziare a cambiare e vedremo presto l’opera del SIGNORE
nella nostra vita.
Cosa dire poi a riguardo del maligno. Questa è
la sola affermazione che ci rincuora e ci riassicura definitivamente: “ E’
STATO VINTO PER SEMPRE DA CRISTO GESÙ
“ e noi per suo tramite siamo anche vincitori.
Pertanto, cerchiamo di prestare il fianco al
SIGNORE e troveremo la nostra vita in un prato dove abbondano i fiori delle
nostre speranze.
13.
AMEN
Tutte le preghiere terminano con AMEN. Se solo
sapessimo considerare questo termine latino, che significa “COSI’ SIA”, considereremmo la certezza di
tutte le preghiere.
AMEN è il suggello a tutte le richieste , è il
via libera all’esaudimento delle preghiere stesse , è un girare pagina ai
nostri problemi, AMEN significa la pace , la serenità.
Nella croce di DAVIDE si notano due triangoli ,
il primo con il vertice a DIO l’altro
con il vertice all’uomo entrambi creano
la stella di Davide , ma e’ anche la stella del PADRE NOSTRO il suo simbolo
intrinseco e speciale.
Portiamolo sempre nel nostro cuore e cerchiamo
di mettere in soffitta le vecchie abitudini dove l’amen non c’e’ mai.
Possa il Signore guardare le preghiere di tutti
e porre il suo AMEN nella figura di CRISTO GESÙ
in tutte le nostre preghiere.
Ringrazio di cuore lo Spirito SANTO che mi ha
guidato alla stesura di questo piccolo commento del PADRE NOSTRO affinché tutto
salga a lode e gloria del suo santissimo nome.
AMEN
IL BUON SAMARITANO
LUCA 10: 25
Commento del fratello ALFREDO
1. Ed ecco, un certo dottore della legge si levò
per metterlo alla prova, e gli disse: Maestro, che dovrò fare per ereditar la
vita eterna?
Molte volte si dà per scontato che i saggi dei
nostri giorni sappiano tutto e ci rapportiamo a loro con gran devozione per
attendere quelle risposte “che sanano il nostro vivere quotidiano”, senza
sapere, poi, che il loro scetticismo può essere deriso da GESÙ, il quale con molta semplicità li
sa riportare alle loro origini mentali.
“Dottore della legge”, sarebbe stato meglio
“ignorante della legge”, perché nella vanità di sapere tutto si cerca
disperatamente di far prevalere le proprie opinioni cercando di scavalcare
quelle di DIO, e qui poi le magre figuracce. Ma DIO si avvale, nella sua
misericordia, di queste vanità umane per ricondurre i tanti ed i dotti sulla
via dell’umiltà e della ragione, strade che non vogliamo facilmente percorrere,
data la nostra reticenza a volerci separare da quelle zavorre umane che
appesantiscono la nostra vita, ma con le quali, in ogni modo, stiamo comodi.
Questo uomo si levò, immaginiamolo, col dito
puntato e atteggiamento altero, convinto che la sua domanda non poteva avere
risposta; immaginiamolo con un sogghigno sulle labbra ed un atteggiamento di
sfida, perché lui, il dottore della legge, era appunto il massimo del sapere
divino. Immaginiamo poi GESÙ
calmo e col capo chino, un atto implicito di pietà verso l’arroganza del
sapere, con addosso gli occhi di tutti i presenti ed il mormorio degli altri
dottori della legge.
Bisogna riconoscere, però, che il dottore della
legge si rivolse a GESÙ
chiamandolo MAESTRO e ciò significa che aveva ricevuto dei sentori circa la
saggezza del nostro GESÙ e che i
suoi discorsi gli avevano colpito il cuore, più che la mente. Un gesto di
rispetto proprio da parte di chi, forse, non avrebbe voluto riconoscerlo come
tale.
Inoltre, parla al singolare e non al plurale:
“che dovrò fare per ereditare…”. Sembra convinto che, essendo rispetto agli
altri il massimo dell’intelligenza, era il solo ad avere dei diritti e non
avrebbe potuto ricevere una risposta degna del suo rango. Un gesto di perfetta
di sfida, con la consapevolezza di poter deridere il SIGNORE. Infatti, la
domanda proposta era abbastanza importante e il dottore, sapendo bene le leggi
giudaiche, sfidava il Signore credendo che sarebbe sceso a dibattere polemicamente sul suo terreno
antico, invece il Signore gli rigirò la domanda, come per dire: “cerca di
riflettere e non essere ipocrita”.
Ora al posto del dottore della legge cerchiamo
di inserirci noi e consideriamo quante volte ci siamo sentiti edotti di questo
o quell’argomento tanto da non voler più ascoltare opinioni diverse, quante
volte abbiamo alzato la voce su argomenti di cui ci sentivamo forti e decisi.
Quale è stata la risposta di GESÙ
nella nostra vita, solo il suo silenzio, proprio come per il dottore della
legge.
2. Ed
egli gli disse: Nella legge che sta scritto? Come leggi?
Nostro Signore non inaugura un nuovo ragionamento
sulla salvezza, ma riporta il suo interlocutore a ricordarsi di quelle stesse
leggi che lo hanno reso dottore. Il Signore, che è venuto a confermare tutto
ciò che è stato scritto nell’Antico Testamento,
gli chiede un ripasso delle leggi. La scaltrezza di Gesù è notevole,
riesce in due mosse ad invertire i ruoli, da essere inquisito, inquisisce, e lo
stesso dottore della legge si ritrova a balbettare il suo sapere, come un
bambino ai primi giorni di scuola.
Molte volte desideriamo una nuova medicina per i
nostri problemi, senza considerare, invece, che le risposte le abbiamo sempre
avute a portata di mano ma che per una pigrizia mentale le abbiamo considerate
antiche e sorpassate. Bene, il Signore ci riporta a considerarle e alla luce
della SUA presenza ci dice che quelle leggi sono veritiere come lo è Lui e che
nulla deve essere lasciato nell’abbandono del nostro tempo.
Altro argomento inquietante è l’interpretazione
delle scritture o meglio il saper leggere. Talvolta si legge per abitudine
senza capire nulla, giusto una perdita di tempo, e qui il Signore, con uno
scappellotto, ci dice: “Come leggi?”
Certamente il rossore di costui, come sarebbe
anche il nostro, era visibile sul suo viso, eppure quando si è certi della
logica semplice ci si può permettere di parlare così.
2. E colui, rispondendo, disse: Ama
il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con
tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso.
Il dottore della legge non poteva fare una brutta
figura, quantomeno doveva ridurre al minimo il suo imbarazzo ed ecco che
enunciò il comandamento di DIO in forma impeccabile, ma con un tremore nella
voce perché consapevole che rispondeva a GESÙ,
il Maestro. Nessuno osò commentare tale espressione.
E’ curioso come molte volte nella nostra vita
pur conoscendo i precetti di DIO siamo altrettanto indifferenti alle sue
prescrizioni, ci comportiamo come il dottore della legge che ben sapeva, ma che
nulla temeva. L’importante era salvare le apparenze.
Bene, in quella circostanza le salvò, infatti
fece bella mostra di sé e tutti stavano ad ascoltarlo, anche GESÙ stava ad ascoltarlo e fu
compiaciuto della sua preparazione.
3. E Gesù gli
disse: Tu hai risposto rettamente; fa
questo, e vivrai.
Il
dottore della legge temeva di essere ammonito da Gesù, o quantomeno si
aspettava qualcosa di contorto, invece il Signore si congratulò con lo stesso,
ed aggiunse: “e vivrai”.
Cosa significherà questo “vivrai” ?
Quante volte Gesù lo ha detto per la nostra vita
e talvolta non l’abbiamo ascoltato per mille motivi personali; quante volte
siamo morti a noi stessi nelle umiliazioni e sofferenze ed abbiamo reagito
diversamente?
Il “vivrai” di DIO è l’augurio, per noi, a
cambiare rotta nella nostra vita, a trasformarla, a conoscere la vera vita alla
luce dei suoi statuti. Vivere è difficile, lo è per le difficoltà dell’uomo,
per i suoi compromessi con il mondo, per la diversità del nostro prossimo.
Vivere, quindi, significa rinuncia a tante
abitudini e pertanto è doloroso. Sono convinto che l’uomo non conosce la vita,
perché conosce a sprazzi gli inviti di GESÙ
ed i suoi insegnamenti.
4. Ma colui, volendo giustificarsi,
disse a Gesù: E chi è il mio prossimo?
Quante volte è accaduto anche a noi di volerci
giustificare per la mancata conoscenza, e ciò che pronunciamo è come dire: “questo so e basta!” Il dottore della legge
pensava che il suo sapere fosse sufficiente al ruolo che copriva e che gli
insegnamenti che conosceva fossero solo semplici fatterelli.
Gesù sempre calmo e tagliente, nel rispondere,
lo portò a considerare ciò che stava all’esterno di sé, a considerare il
prossimo, la gente che era a fianco, quelli che avevano bisogno di una parola
di sollievo: il prossimo. Era stato proprio lui a pronunciare la verità più
pesante, (ama) “il prossimo come te stesso”, che ha il significato di una
mannaia nella sfera personale.
Noi che siamo abituati a collocarci in ambienti
bellissimi e a far stare il nostro prossimo fuori la porta, ora dobbiamo
spalancare il nostro cuore a tutti. Un colpo durissimo, ma se non procuriamo
amore verso il nostro prossimo, potremo amare DIO[3]?
Scendere dunque nel campo di battaglia quotidiano significa amare il prossimo
per ereditare il PARADISO.
Sebbene il dottore della legge era sempre
circondato dal suo prossimo, non riusciva a vederlo, perché, forse, vedeva la
sua carriera che a lui interessava. Quindi, chiedere a GESÙ “chi è il mio prossimo”, era demolire per sempre
l’autostima che aveva fin a quell’istante.
Vediamo come, in circostanze simili, parlando a
noi stessi, riusciamo a metterci in discussione, cioè riusciamo a demolire la
presunzione e a far apparire la parte migliore di noi. Facciamoci spesso delle
domande e cerchiamo di rispondere come se fossimo estranei a noi stessi,
scopriremo un’altra dimensione di noi che ignoravamo prima.
Nostro Signore quando vede la nostra
cocciutaggine o la nostra ostinazione, è costretto a raccontarci dei
fatterelli…parabole ed altro. Torniamo, così, ad essere bambini fra le braccia
di GESÙ con la speranza che ciò
che ci racconta faccia breccia nella nostra mente e nel nostro cuore.
Il dottore della legge ridotto ormai alle pezze
da GESÙ fu costretto ad
ascoltarlo. La domanda che aveva posto al Maestro gli aveva procurato
l’umiliazione di ascoltarlo, lo riconduce a questo e, sebbene sia orgoglioso,
dobbiamo apprezzare che non corre via, ma rimane. Vuoi per curiosità, vuoi per
non perdere la faccia dinanzi al pubblico, rimane e così il buon GESÙ può raccontare la PAROBOLA .
Quante volte siano stati peggio del dottore della
legge, quante volte abbiamo stordito il nostro prossimo con i nostri
ragionamenti insensati e siamo andati via quando Gesù ci voleva parlare, quante
volte non ci siamo voluti umiliare ad ascoltare!
5. La parabola
1. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e
s’imbatté in ladroni i quali, spogliatolo e feritolo, se n’andarono,
lasciandolo mezzo morto.
Non sappiamo per quale motivo quest’uomo stava
scendendo da Gerusalemme fino a Gerico, sappiamo però che la strada era
tortuosa e ripida, una discesa di 27 chilometri tutta fatta di curve. Un uomo
che andava per i fatti suoi certo di giungere fino a quella città, sicuramente
andava con un passo svelto e sereno nel cuore.
Improvvisamente accadde una “ sorpresa”, un
grande spavento: piombarono dei ladroni e il pover’uomo solo cercò di
difendersi, ma fu sopraffatto. I ladroni, spogliatolo di quel poco che aveva,
lo percossero duramente, forse a causa del magro bottino. Il pover’uomo rimase
per terra consapevole del suo dramma e si affidò alla misericordia di qualche
atteggiamento pietoso del prossimo.
Ricordo da giovanotto l’allegra discesa della
mia vita, i tanti progetti che facevo senza considerare gli imprevisti. Ero
noncurante di nessuno facevo programmi per me, per il mio futuro per i miei
genitori e tutto era lecito e sicuro, fino a quando, un bel giorno, i ladroni,
cioè gli imprevisti, fecero capolino improvvisamente nella mia vita e rimasi,
appunto, mezzo morto ad attendere un gesto di pietà da parte del prossimo.
I tempi per potersi rialzare non sono sempre
rapidi, infatti, io impiegai circa 25 anni per riprendermi. Questi anni sono
stati decisivi, sono cresciuto, ho capito la mia vita, ho visto il SIGNORE
della mia vita e quando la sofferenza si è calmata, ho visto GESÙ che mi offriva la sua mano per
rialzarmi.
Bisogna stare attenti alle discese della vita,
essere cauti anche quando si è certi delle proprie risorse e saper guardare più
a lungo del previsto, e qui si erige la figura maestra del nostro SIGNORE a cui
sempre dobbiamo affidare i nostri percorsi ed i nostri progetti per non
trovarci impreparati negli imprevisti.
Un altro elemento da considerare è quello della
“ sorpresa”, infatti, quell’uomo fu sorpreso, non dobbiamo assolutamente essere
sorpresi nella vita, bisogna saper guardare con certezza fin dove si può e dopo
affidare al SIGNORE il resto.
Nella nostra vita avremo sempre dei “ ladroni “
violenti o meno, ma li avremo sempre, cerchiamo di interpellare GESÙ e facciamolo nostro compagno di
viaggio, certamente le discese saranno più allegre e scambiare qualche
chiacchiera in due sarà meno noioso di scendere da soli.
2. Or, per caso, un sacerdote scendeva per quella
stessa via; e veduto colui, passò oltre dal lato opposto.
L’altra figura inquietante e ancor peggio dei
ladroni è quella del “sacerdote”. Lui, che doveva essere il preposto al
soccorso, in vista di quell’uomo ecco che passa dall’altra parte della strada.
Forse si spaventò nel vederlo per terra e pensò fra sé: “E’ meglio darsela a
gambe prima che capiti anche a me la stessa sorte.”
Di sicuro l’uomo percosso lo vide correre via e
la sofferenza fu più grave di prima. Secondo me l’atteggiamento più inquietante
è il passare dal lato opposto della strada. Di proposito si vuole evitare il
contatto, manca l’altruismo, manca un buon cuore, mancano tutte quelle qualità
che rendono l’uomo intelligente e capace, diciamo che quel sacerdote era come
uno dei nostri tempi, con lo sguardo fisso in avanti.
Sicuramente la sua coscienza lo rimproverò e
dubito che in seguito abbia trascorso una buona relazione con se stesso, se è
stato capace di tanta codardia, sicuramente non poteva fidarsi neanche di se
stesso.
Riflettiamo su due situazioni:
1°) Mentre l’uomo scendeva, il sacerdote per
caso faceva quella via.
S’intuisce, come detto prima, che mentre l’uomo
aveva una certa fretta, il sacerdote se la dava con più calma, ovvero aveva
tutto il tempo davanti a sé. I suoi impegni a Gerico dovevano essere solo fatti
ordinari, tanto lui era in ogni modo pagato dal Sinadrio.
2°) perché GESÙ
fa scendere un sacerdote, non poteva indicare un altro uomo?
La simbologia di nostro SIGNORE è importante, ci
fa capire che anche i preposti per la legge di DIO possono essere ipocriti e
senza DIO. Non bisogna soffermarsi solo alle apparenze, ma bisogna guardare
anche alle azioni che si compiono; questo sacerdote era un ipocrita solo uno
scaldabanchi, poiché nulla sapeva fare nella vita. Peggio dei ladroni,
guardiamoci da tali persone.
La parola di DIO verace e viva non ha bisogno di
simbolismi e investiture speciali, la si può incontrare in chiunque faccia la
sua volontà e non solo in coloro che, pur indossando stinte gramaglie, nulla
conoscono della legge del SIGNORE.
Il credente non passa sul lato opposto rimane
lungo la via, perché tutto ciò che è prossimo a lui gli interessa, quindi
diciamo al nostro SIGNORE:
GESÙ se
fossi passato io su quella via l’avrei soccorso e sarei stato con lui, come tu
sei sempre con me.
3. Così pure un levita, giunto a quel luogo e
vedutolo, passò oltre dal lato opposto.
Altra figura inquietante è quella del levita,
stesso comportamento stesso modo di fare, stessi impegni del sacerdote, stesso
lavoro più o meno.
Ma perché GESÙ
fa scendere anche il levita?
Intuisco che il SIGNORE s’ispirò alla figura del
dottore della legge. Giacché egli insegnava nel tempio dove officiava il
sacerdote, gli volle dimostrare che se si fosse trovato anch’egli in quella
circostanza avrebbe fatto allo stesso modo. Difatti durante il racconto non si
legge che GESÙ fu interrotto dal
dottore della legge, ma poté proseguire indisturbatamente.
GESÙ
calca la mano su queste figure perché in quel tempo queste figure erano “ gli
assalitori del popolo” in pratica avevano il potere di vita e di morte su
chiunque.
GESÙ
era venuto per sistemare le cose; a non predicare più l’egoismo, ma il coraggio;
a non essere di molte parole, ma essenziali anche nei comportamenti e a non
fidarsi delle apparenze, ma solo di DIO.
Si potrebbe scrivere ancora circa gli usi, ma
sarebbero sempre supposizioni, ciò che ho scritto qui invece è ciò che DIO
cercava dagli uomini e ciò che in quel momento gli stava trasmettendo.
4. Ma un Samaritano che era in viaggio giunse
presso a lui; e vedutolo, n’ebbe pietà;
Terza figura è quella di un samaritano, una
figura inferiore, priva di considerazione, data la posizione sociale e storica
fra ebrei e samaritani tra cui non scorreva buon sangue.
Quest’uomo era in viaggio verso Gerico con le
sue cose, sopra un asino o un mulo, stava quasi al centro della strada, e dato
che era un commerciante aveva molto a cui pensare. Vede qualcosa, s’avvicina e
si rende conto dell’accaduto, non si chiede se l’uomo per terra fosse come lui
samaritano, ma si appresta a curargli le ferite. Olio, vino e quanto di meglio
per un modesto pronto soccorso. Si scambiano delle parole, ma il samaritano lo esorta
a stare calmo e continua a curarlo, certamente non lo abbandonerà e questo
rincuorava l’uomo percosso.
L’intelligenza di nostro SIGNORE è
straordinaria, racconta quest’episodio al dottore della legge, per far capire
chi è il suo prossimo, ma costui non lo ha ancora compreso perciò il Signore va
avanti nei dettagli per meglio mostrargli il ventaglio delle azioni da proporre
al prossimo.
Vorremmo anche noi avere un samaritano nella
vita, in quelle cadute dove a stento si riesce a parlare, facciamo nostro
soccorritore GESÙ e scopriremo il
SAMARITANO per eccellenza, e quando vedremo passare dall’altra sponda della
strada gli pseudo cristiani non rattristiamoci perchè loro non si rialzeranno
mai più dal loro egoismo.
Costruiamo il nostro prossimo nella figura
elegante e disinvolta di GESÙ e
vivremo serenamente con un grande amico al nostro fianco.
5. E accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi
sopra dell’olio e del vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo menò ad
un albergo e si prese cura di lui.
Il samaritano impiegò un bel po’ di tempo,
doveva innanzitutto rincuorare lo sventurato e dopo curarlo. Olio e vino sulle ferite per calmare
il dolore e disinfettarle e poi una fasciatura.
L’altruismo del samaritano ben costruito da GESÙ dimostra che ognuno è prossimo
dell’altro e che il samaritano benché uomo impegnato non esitò a fermarsi e
prestare soccorso, ma, cosa esenziale, è che mise in pratica i comandamenti di
DIO, diversamente dal dottore della legge che conosceva solo le leggi e le
prescrizioni mentre ignorava la loro applicazione.
Il samaritano pertanto coricò il ferito
sull’asino fino a raggiungere un albergo e riprese a prendersi cura di lui.
Bello questo passaggio, notiamo che il
samaritano non lo consegnò ad altri e basta, ma riprese le sue cure verso
quest’uomo fino a quando fu capace di tornare in sé.
GESÙ
c’insegna con questo passaggio che dobbiamo avere cura del nostro prossimo in
azioni, preghiere ed altro fino al conseguimento della conversione e di non
limitarci al solo soccorso del momento, così facendo saremmo uguale al dottore
della legge. Mettere al sicuro il nostro prossimo vuol dire dargli sicurezza
delle nostre cure del nostro impegno mostrargli che non lo lasceremo, infatti
il samaritano lo porta fino ad un albergo, avrebbe potuto lasciarlo in terra
pur avendolo curato, no, spontaneamente lo mette al sicuro.
Ci sono persone che già nel proprio cuore vivono
i precetti cristiani, mentre altri si limitano solo a conoscerli e basta.
Possa il SIGNORE farci abbondare di queste
meravigliose figure o quantomeno darci coraggio di essere come loro senza mai
pretendere il plauso del mondo. In questi tempi conosciamo bene le tante
persone che sono abbandonate e specialmente ignorate da tutti, non così
saremo degni eredi del REGNO DI DIO, ma
lo guarderemo solo da lontano o meglio lo guarderemo passando dall’altra
sponda.
6. E il giorno dopo, tratti fuori due denari, li
diede all’oste e gli disse: Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di
più, quando tornerò in su, te lo renderò.
Notiamo
che il samaritano rimase con lui tutto il giorno e la notte successiva per
essere certo delle condizioni dell’uomo. Non esitò a rimandare i suoi impegni,
comprese che quell’impegno era più grande di qualunque altro.
Dopo che si fu riposato ecco che il samaritano
prolunga la sua azione generosamente pagando l’oste perché si prendesse cura
dell’uomo fino al suo ritorno.
Immaginiamo ora il dottore della legge che
ascolta questa parabola, sicuramente aveva il volto triste o meglio non
comprendeva il tanto zelo del samaritano.
Gesù fa la stessa cosa con ognuno di noi, non
solo si prende cura, ma ci conserva nella sua casa fino al ristabilimento
totale di ciascuno e per fare ciò il Signore ha pagato col suo sangue il
tributo per il nostro soccorso.
Possiamo dire anche noi che almeno una volta
siamo stati come il buon samaritano? Spero tanto di sì.
Il samaritano paga e promette di ripassare per
verificare le condizioni dell’uomo, il Signore ha pagato ed ha promesso che
sarebbe tornato a verificare la nostra cristianità.
L’uomo sicuramente si rimise e fu anche
ristorato, noi possiamo dire la stessa cosa che abbiamo abbandonato il mondo e
ci siamo ristorati alla presenza di CRISTO Gesù?
Non fare questo vuol dire non comprendere la
potenza di Cristo Gesù, rendere vano il suo gesto personale che ci ha
riscattato tutti col suo sangue.
Ma queste sono parabole per insegnarci un
comportamento cristiano alla luce della presenza di GESÙ, sono questi, atteggiamenti di gran cristianità
personale e se il SIGNORE le ha raccontate ciò vuol dire che lo dobbiamo
mettere anche noi in pratica, il Vangelo va vissuto e non letto soltanto.
Due denari erano una cifra importante ma il samaritano
aggiunse che ce ne sarebbero stati altri se ve ne fosse stata la necessità.
Questo è un altro monito di GESÙ:
non essere attaccati ai soldi, quante volte lo ripete nei vangeli, ma di
accumulare dei tesori in cielo. Noi abbiamo una gran ricchezza in Cristo Gesù così come la ebbe il buon
samaritano.
7. Quale di questi tre ti pare essere stato il
prossimo di colui che s’imbatté ne’ ladroni? E quello rispose: Colui che gli
usò misericordia. E Gesù gli disse: Va’, e
fa’ tu il simigliante.
Il
Signore ha terminato la parabola e si rivolge al dottore della legge per
conoscere la riposta. Questi, a colpo sicuro, risponde: “Il samaritano!”; la
gente attorno ne è felice, il Signore un po’ meno perché conosce il cuore del
dottore della legge. Gesù sapeva cosa batteva nel cuore del dottore
della legge, per questo gli creò una parabola ad hoc, parabola questa che lo
zittì definitivamente e non conosciamo poi, quale fu il suo futuro. Penso che
andò via triste, quasi sdegnato dall’appello di GESÙ, fu scosso nel proprio intimo, ma dubito che poi ci fu
un ravvedimento, cocciuto com’era restò per sempre lo stesso.
Molte volte ci siamo trovati
nella condizione di non protagonista ed il giudizio è stato facile, mentre poi,
quanto siamo noi a sedere sul banco degli imputati, cambiamo atteggiamento.
Sappiamo ciò che spetta a noi fare, ma non lo facciamo. GESÙ ci esorta a fare ciò che è nello spirito della parabola
stessa.
Avere come prossimo anche il proprio nemico, è
una posizione scomodissima, fastidiosa, con questo, però non possiamo esimerci
dal fermarci lungo la strada, nostro compito è farlo anche a costo di
rimetterci. La parabola del buon samaritano nel corso dei secoli ha convertito
molti, ha fatto conoscere l’amore di DIO ed ha avvicinato anche i più ostinati.
La parabola va letta con innocenza e non può
essere letta diversamente, correremmo il rischio di valicare la semplicità di
DIO. Non ci dobbiamo poi, costruire una ragione per conto nostro, se siamo
diversi dal buon samaritano chiediamo al SIGNORE di farci similmente a lui così
assomiglieremo a GESÙ.
Cosa si capisce da questa parabola? Se l’uomo
percosso trovò il buon samaritano, noi troviamo CRISTO GESÙ. Se usciamo da questa realtà ci troveremo ad imbatterci
in molti ipocriti ed il levita e il sacerdote di quel tempo risorgeranno
allegri e fieri ad disprezzare le nostre difficoltà.
Cerchiamo d’essere semplici nei comportamenti di
non imitare i sapienti del mondo e troveremo nella semplicità di DIO un viatico
sereno che ci accompagnerà fino alla mèta.
IL GIUDICE INIQUO
Luca 18 :1
Commento del fratello ALFREDO
1. Propose
loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano del continuo pregare e
non stancarsi.
La pazienza di Nostro Signore è
inimmaginabile, ci tratta come bambini e ben conosce le nostre scorribande
nella vita. Certamente prima di parlare di questa parabola, aveva parlato di
tanti altri argomenti concernenti la preghiera, ma talvolta il linguaggio di GESÙ era così semplice che non si
riusciva a capire. In modo diverso dal linguaggio comune, il SIGNORE propone
delle storielle, le Parabole, affinché
la comprensione di concetti anche
profondi fosse per tutti.
La platea di nostro SIGNORE era
durissima e far capire l’importanza della preghiera, a gente che era troppo
impegnata o che amava le orazioni liturgiche, non era una cosa semplice.
Pregare per fede era un’operazione ardua, ma non impossibile, infatti,
l’evangelista Luca con la giustificazione, “per mostrare che dovevano del
continuo pregare”, fa intuire una grossa fatica da parte di GESÙ.
Noi siamo come quel popolo, ostile
e duro a comprendere anche le esortazioni accorate di GESÙ. Ora, se analizziamo bene quelle parole ci accorgiamo
che il SIGNORE ci dice: “per certo quelle preghiere saranno esaudite”, cioè un
continuo chiedere, un continuo bussare al cuore di DIO porta i frutti sperati
del cuore dell’uomo. L’uomo ignora la potenza della preghiera, soprattutto
quando mette se stesso al primo posto.
La relazione PADRE / FIGLIO è
importante e stabilisce un giusto equilibrio di soggezione fra le parti, ovvero
di rispetto dei ruoli investiti da ciascuno. Noi abbiamo un DIO comprensivo e
non arrogante e pertanto dobbiamo considerare DIO come nostro PADRE a tutti gli effetti. A volte capita che per
poter convincere bisogna ripetere insistentemente le richieste, questo metodo
si riscontra specialmente con i nostri figli: per vedere fino a che punto una
loro richiesta sia importante è necessario che ce la ripetano più volte, poi,
noi padri ci convinciamo ed esaudiamo, nei limiti del possibile, la richiesta
propostaci.
Così è DIO, ha bisogno di una nostra
insistenza per concederci “le grazie” che noi chiediamo, anche se egli ci dà
molto di più, perché ci conosce e conosce i nostri desideri, prima ancora che
glieli chiediamo. Sfortunatamente oggi non abbiamo più la virtù di un
tempo: “la pazienza”; ma è proprio nell’aver pazienza che si riesce ad essere
insistenti e ad essere esauditi. Oggi giorno abbiamo bisogno del “subito”, ma
questo termine non è contemplato nel vocabolario di DIO. Egli nella sua
lentezza è saggio e nella sua saggezza è giusto, pertanto o ci adattiamo
a DIO oppure, rifiutando di cambiare ritmi nel nostro modo di vivere, non
riceviamo miracoli nella nostra vita.
Il poco e subito è solo dell’uomo,
il molto e duraturo viene da DIO. Se ci
stanchiamo, cerchiamo conforto in un nostro fratello oppure in un amico che sia più tenace di noi, così
facendo faremo, della preghiera, una maratona ed il continuo bussare per fede
sortirà gli effetti sperati.
Infine, nostro Signore non ha
bisogno dell’insistenza per poter capire l’urgenza di una preghiera, ma è un
metodo per misurare la nostra fede, per tenerci in allenamento specialmente nei
momenti duri della vita, quindi cerchiamo di guardare a DIO con amore e
troveremo una cascata di benedizioni nel momento della richiesta.
E’ necessario dimenticarsi del
“subito”, perché la parola del SIGNORE è viva e veritiera ed Egli, che si è una
volta impegnato ad assisterci, porterà a compimento le sue promesse. Quindi andiamo ai
piedi di DIO con certezza e fede consapevoli che tutte le preghiere sono lette
da colui al quale tutto è possibile.
2. In una certa
città v’era un giudice, che non temeva Iddio né aveva rispetto per alcun uomo
Il Signore inizia il racconto non
descrivendo una città, quindi poteva essere anche il luogo dove dimoriamo. Poi
vi è il giudice, ovvero una figura che avrebbe dovuto essere garanzia di
giustizia e avrebbe dovuto possedere un codice deontologico, cioè comportamentale, equo per tutti senza
distinzione alcuna, quindi una figura giusta per risolvere le beghe fra gli
uomini, ma appena dopo la virgola si legge: “Che non temeva IDDIO né aveva
rispetto per alcun uomo”.
Cerchiamo di immaginarci questo
sciagurato, di statura medio-alta, con un tono di voce alta ed arrogante, un
pizzetto, come barba, ed un passo svelto. Nella sua stoltezza non poteva
rispettare le leggi di DIO. Quindi possiamo liberamente dire che era come
qualche giudice dei nostri giorni, attento alla carriera ed al blasone,
noncurante della verità ed ispirato solo dal suo personale discernimento ed dal
suo tenore di vita. Pertanto una persona che aveva come unità di misura della
giustizia il suo umore, le sue simpatie o antipatie per i malcapitati.
Ma, cosa importante, coloro lo
avevano elevato a quella posizione erano sicuramente altri uomini, più
sciagurati di lui, esponenti di una società senza scrupoli e senza etica con
una condotta deplorevole e dediti al culto degli idoli.
3. e in quella
città vi era una vedova, la quale andava da lui dicendo: Fammi giustizia del
mio avversario
Ecco che in quella città vi era
una vedova che ricorreva a lui.
Ora, perché una vedova e non una
donna sposata? La vedova di quel tempo e di quella società rappresentava
l’impotenza alla reazione, quasi un abuso della società verso persone rimaste
sole. Quindi, penso, che la figura di un uomo non avrebbe calzato, sia per il
linguaggio sanguigno con il quale avrebbe potuto inveire contro il giudice in
quanto sarebbe stato irreale il silenzio, sia per capire l’ingiustificato
comportamento del giudice nel trovarsi di fronte una donna inerme.
Personalmente questa vedova non
entra nelle mie grazie, perché se sapeva che costui era un giudice ingiusto,
perché doveva rivolgersi proprio a lui? Non poteva trovare un altro modo per
risolvere la lite ?
Ed allora, possiamo pensare che la
donna nell’andare dal giudice ha dimostrato di stare dalla parte del torto?
Oppure può esserci un’altra sciagurata realtà: in quella città vi era solo
questo giudice e non altri, quindi era una strada obbligata da percorrere,
allora presentarsi al giudice nella sua innocenza fu un modo astuto per la
donna di trovare grazia.
Questo nella logica delle cose, ma
nel racconto di GESÙ le cose
stanno diversamente. Lui racconta solo il fatto e lascia poco spazio al
commento dei protagonisti, giudice e vedova, in altre parole è una parabola
fatta d’azioni personali.
La donna chiede “giustizia del suo
avversario”, ma un giudice di siffatte caratteristiche avrebbe mai potuto
emettere una sentenza giusta? Eppure la vedova, pur sapendo che era iniquo,
insiste nel chiedergli soccorso circa quest’avversario. La donna chiede giustizia, ma, allora c’è da
chiedersi, qual era la giustizia che voleva? Forse voleva sfruttare quella
singolarità del giudice per accampare un suo disegno malvagio? Questo non è
scritto, ma potremmo intuire che volesse vendetta, cioè vedere il suo
avversario sotterrato o quantomeno umiliato! Infatti, notiamo che la donna
chiede al giudice iniquo di fare giustizia, ma non fa alcuna richiesta di
soccorso e indica al giudice che il suo avversario è un nemico, prima ancora di
conoscere i fatti.
Quante volte è accaduto che
abbiamo fatto ricorso ai nostri potenti solo per il mero gusto di vendetta?
oppure per una soddisfazione personale? E’ questo uno dei lati inquietanti
dell’uomo, vale a dire la volontà di prevalere sul prossimo ad ogni costo,
dimenticandosi di proposito di DIO.
Come la vedova va dal giudice
anche noi dobbiamo recarci da DIO in suppliche e preghiere e raccontagli tutti
i fatti che ci rendono infelici, fiduciosi poi attendere le sue risposte, ma
bisogna fare attenzione, bisogna raccontare la verità e non ciò che ci fa
comodo, ovvero l’immediata necessità e non un progetto vendicativo. Quante
preghiere sono imperniate di questo virus ed è ovvio che non riceveremo mai una
riposta.
Per imparare qualcosa ci
converrebbe leggere semplicemente le parole di Gesù, qualunque fossero le intenzioni della donna, perché
l’obiettivo del Maestro era di
insegnarci che dobbiamo insistere presso DIO per essere esauditi nella
preghiera e ricevere il soccorso sperato. Nella realtà il SIGNORE conosce la
nostra urgenza e sa benissimo come e quando intervenire, ma ci vuole anche
pedanti ed insistenti e desidera da noi una relazione dettagliata della nostra
richiesta.
Possiamo anche noi chiedere a DIO
di farci giustizia? No, noi possiamo solo presentare i fatti, le conseguenze
del male ricevuto, sarà il SIGNORE a fare giustizia, e quella legittima, per
quanto stiamo patendo, quindi, delegare al SIGNORE il giudizio ci mette in una
posizione di comodo e di certezza.
Talvolta non interpelliamo il
SIGNORE nello stesso modo, siamo noi come quella donna a suggerire che tipo di
vendetta desideriamo. E’ nello spirito dell’uomo essere così, ma bisogna
ridimensionare questo nostro carattere e calcarlo con quello di DIO.
Si poteva scrivere a lungo, ma è
conveniente restare nella logica e nel sunto dei fatti, lasciare alla nostra
mente la discrezione di un giusto comportamento in sintonia con le leggi di DIO
e crescere alla luce della verità e della solerte giustizia divina, che non
tarda mai a nessun appuntamento.
4. Ed egli per un
tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: benché io non tema Iddio e non
abbia rispetto per alcun uomo,
Coerentemente al suo carattere il
giudice iniquo manda via per molte volte la vedova. La donna, però, si legge
chiaramente, era tornata così tante volte a chiedere giustizia, senza ottenere
esaudimento, da colpire addirittura l’insensibilità del giudice che è
richiamato ad esaminare il suo comportamento, e a confessare di non temere né
la legge di DIO né quella degli uomini. Si intuisce, quindi, che questo giudice
conosceva le leggi di DIO e anche quelle umane, tanto da sapere di ignorarle di
proposito, sapeva che non rispettava nessuno e per lui questo suo stato
professionale era la giustificazione del suo diniego.
Quante volte siamo andati a DIO a
ripetere di continuo una stessa preghiera. Il solo fatto che siamo tornati più
volte, senza avere risposta, ci doveva far capire che la domanda doveva essere
modificata o la richiesta doveva essere più giusta. Invece siamo stati pedanti
e le risposte non sono giunte mai.[4]
Ma DIO non è il giudice iniquo,
lui attende che l’uomo gli fornisca la giusta preghiera del cuore, una
richiesta sincera, non vendicativa e inquinata dalla giustizia terrena.
Impariamo pertanto a ragionare con la mente di DIO e le nostre preghiere saranno
in sintonia con i tempi di DIO.
Se DIO non risponde alle preghiere
non vuol dire che non gli interessano, anzi, come il giudice iniquo rimase per
un tempo a sopportare quella donna, così il Signore attende affinché l’uomo si
possa redimere e comprenda di regolarizzare la sua supplica. I tempi di DIO
sono importanti, fanno crescere, ci fanno comprendere l’importanza della
preghiera e ci maturano. Accogliamo con fiducia questi tempi, queste attese,
impareremo così ad ascoltare GESÙ
nei suoi apparenti silenzi.
5. pure, poiché
questa vedova mi dà molestia, le farò giustizia, che talora, a forza di venire,
non finisca col rompermi la testa.
L’andirivieni della vedova è un cruccio per il giudice iniquo, lui
abituato a non essere molestato per il suo ruolo, si trova adesso di fronte ad
un atteggiamento ostile, non è da lui fare giustizia, ma l’asseconderà per non
essere ossessionato da questa.
Non dimentichiamoci che la vedova poteva non avere tutte le ragioni,
anzi che potrebbe essere stata anche colpevole, infatti, perché la
vedova non trovò un accordo con il litigioso, anziché ricorrere all’iniquità
del giudice? La donna fu esaudita per la sua insistenza e non per la sua
ragione.
GESÙ racconta questa parabola
proprio per questo fine: imparare l’insistenza, ma ricordiamoci che a DIO non
sfugge la motivazione del contenzioso e che Egli non può essere ingiusto.
Impariamo, allora, dalla vedova la sua insistenza ed anche il suo andirivieni,
tralasciando la ragione dei fatti.
Insistere nel raccontare i fatti
dei nostri crucci al NOSTRO SIGNORE, è importante, lo spingiamo ad interessarsi
di noi, se ce ne fosse bisogno. Quando stiamo nel torto ci lamenteremo spesso,
forse fino a che non avremo chiesto perdono e Dio e agli uomini, se invece
stiamo dalla parte della ragione avremo immediatamente la risposta e
l’esaudimento della preghiera.
6. E il Signore disse: Ascoltate
quel che dice il giudice iniquo. E Dio non farà egli giustizia ai suoi eletti
che giorno e notte gridano a lui, e sarà egli tardo per loro?
Gesù termina il racconto della
parabola del giudice iniquo e c’invita a considerarlo come esempio.
Com’è bello ascoltare dalla voce
di GESÙ che le nostre preghiere
insistenti saranno esaudite, come ci rincuoriamo essendo certi di avere un
giusto giudice nel cielo e sulla terra il suo Spirito, come ci si rallegra
sapere che il male non prevarrà su di noi, anche se ci sfiorerà.
Andiamo a raccontare a DIO i
nostri crucci descriviamoli nei minimi particolari e lui ci esaudirà subito
perché è un DIO di verità e di giustizia diversamente dal giudice iniquo che
non conosceva né le leggi di DIO né quelle degli uomini.
I TALENTI
MATTEO 25: 14.
Commento del
fratello ALFREDo
Questa parabola, segue quella
delle dieci vergini nella quale il SIGNORE aveva parlato della sua venuta,
esortando a stare sempre pronti e non avere il senno distolto da altre cose del
mondo.
Giusto per essere più chiaro
Nostro Signore ama ripetere i concetti circa i meriti ed i compiti demandati ai
suoi, a Lui piace l’azione ed una fede viva e non sorniona. Lui ci ha dato il
dono della vita, guai a chi lo sciupa inutilmente o peggio ancora a chi pur
essendo credente lo è solo per nostalgia, dura sarà la condanna e aggiunge,
“non vi conobbi giammai”. E così, fra un ammonimento e l’altro, si avvia a
raccontare la parabola dei TALENTI che tenderà a scuotere gli animi e a
spiazzare ogni logica umana.
1. Poiché
avverrà come di un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi
servitori e affidò loro i suoi beni
Gesù inizia la frase con “avverrà”,
vale a dire che per certo la morale di queste parabole è vera e quindi
“credete”, ma noi, cocciuti come siamo, abbiamo bisogno d’intimidazioni,
scappellotti e spaventi vari, per riuscire a comprendere i ragionamenti di Gesù. Il Maestro
doveva dimostrare che la sua “assenza” non sarebbe stata definitiva, ma solo
per un periodo minimo di tempo e che i doni lasciati a chiunque, il giorno del
suo ritorno, sarebbero stati richiesti.
Quando dobbiamo partire abbiamo la
sana abitudine di salutare tutti e di raccomandarci a quelli che lasciamo
riguardo comportamenti e mansioni. Per essere tranquilli, lasciamo delle
consegne precise, avendo fiducia, o
quantomeno speranza, che le nostre raccomandazioni siano comprese e rispettate.
Situazione poi ancora più
importante è la consegna di beni oltre le raccomandazioni. Quali sono i beni?
Ad esempio possono essere i soldi, può essere la dignità, l’onore. il rispetto,
ecc… Durante l’assenza, il termometro di questi valori vorremmo che cresca e
non scenda; in tutti gli investimenti umani, il valore delle cose deve tendere
a salire e non a scendere altrimenti ne saremmo fortemente rammaricati e
perderemmo l’attaccamento a quel bene e
cercheremo poi di svenderlo.
Osserviamo la particolarità
espressa da Gesù:
quel signore affida i suoi beni ai “servitori” e non ai parenti. Una condizione
questa di gran responsabilità da parte dei servitori, ma anche dimostrazione di
rispetto e di fiducia, da parte del padrone. Possiamo immaginare lo sgomento
del pubblico nel pensare che le ricchezze di un signore potessero essere
affidate ai servi e quindi il mormorio di soddisfazione o disapprovazione, ma
in questo modo il Signore voleva parlare a tutti e la parabola doveva essere
compresa da tutti.
Gesù, dato uno sguardo fugace qua
e là, riprese a parlare con una voce calma, ma decisa. Erano, ora, tutti in
“trappola” perché, presi dalla curiosità, suscitata dalla pazzia di quest’uomo
che lasciava i suoi beni ai servi, erano entusiasmati a conoscere il resto del
racconto.
Molte volte noi non restiamo in
trappola ad ascoltare le parabole di Gesù, siamo
prevenuti, perché riteniamo di essere intelligenti, ma così noi perdiamo
le sue benedizioni ed il senso delle lezioni che ci servono per percorrere
questa vita affannosa. Ci manca la curiosità di
quella gente, ci manca l’abbandono e questo perché siamo pieni di noi
stessi ed i racconti, anche quelli di Gesù, ci risultano ovvii ed obsoleti.
Possa il SIGNORE catturarci nelle
sue parabole e farci innamorare dei suoi racconti che risultano essere la linfa
vitale di ciò che siamo e di ciò che desideriamo essere dinanzi al suo
cospetto.
1. e
all’uno diede cinque talenti, a un altro due, e a un altro uno; a ciascuno
secondo la sua capacità; e partì.
La divisione dei beni non avvenne
in modo uguale per tutti, ma giustamente, come precisò Gesù, a seconda le capacità di
ciascuno, quindi cinque, due ed uno.
Forse il servo dei cinque talenti
fu più compiaciuto di chi ne aveva ricevuto uno, ma certamente non dimenticò
che le responsabilità erano moltiplicate per cinque. La mente dei servi chissà
quali pensieri percorse, con sì tanto denaro! Talvolta persino le migliori
virtù vengono a mancare dinanzi ad un’inaspettata, cospicua, anche se
temporanea, fortuna.
Cosa avremmo fatto al posto di
quei servi? Considerato che il signore partì, avremmo innanzitutto fatto un check up della nostra vita ed
avremmo badato a noi stessi, trovando la soluzione a tanti nostri problemi
economici!
Purtroppo un servo non poteva
avere di queste aspirazioni perché era sempre e comunque un servo e soggetto
alla pena di morte in caso di frode. L’unica cosa valida e possibile per un
servo era vivere ed era ciò che passò per la mente di costoro, come avevano
fatto fino a quel momento.
Desideriamo rivolgerci al SIGNORE
per ringraziarlo dei talenti che ci ha dato, e, già per questo motivo, dobbiamo
riconoscergli una gran fiducia ed esserne certi che ci soccorrerà in ogni
tempo. Abbiamo la vita, il creato, i nostri fratelli, lui stesso, che ci ha
scelto, come nostro aiuto, non sono questi i talenti che ognuno di noi ha
ricevuto? A cosa servirebbe essere trasgressori per un tempo brevissimo e poi
passare dal giudizio di DIO?
Se poi abbiamo in mente di
sopravvivere soltanto, allora faremo uno degli errori più grandi della nostra
vita, perciò consideriamo quello che abbiamo ricevuto e chiediamoci perché
proprio a noi, sono certo che ognuno capirà ben presto quale sia il valore dei
talenti ricevuti e potrà fare un buon programma, con tale ricchezza, in visone
del prossimo ritorno di Gesù.
2. Subito,
colui che avea ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò
altri cinque.
Saggio per lo spavento, il primo
servitore che ebbe cinque talenti andò ad investirli per farli fruttare e ne
guadagnò ancora degli altri, ma rimase fedele al suo padrone. Ora ne aveva dieci
e ben poteva prendersi del suo riconoscendosi dei meriti e una onesta
ricompensa per il sagace intuito. Invece esaminò la sua posizione e,
riconoscente al suo padrone, considerò anche gli interessi maturati della
stessa origine dei primi cinque talenti, un dono affidato.
Nella sua modestia dobbiamo
imitarlo, lui che nel poco fu fedele, fu fedele anche nel molto e con gioia
aspettava il ritorno del suo padrone per festeggiare con lui. Durante la nostra
esistenza vediamo che le cose attorno a noi cambiano, aumentano e la paternità
di questi cambiamenti li attribuiamo a noi stessi per le capacità che abbiamo
avuto, invece la parabola dei talenti ci deve indurre a capire che proprio chi
ha avuto molto nella vita deve ricordarsi che dovrà dare molto al SIGNORE e non
solo, dovrà descrivere dove ha investito e con quale proposito.
Come lui aspettava con gioia il
suo padrone, aspettiamo anche noi Gesù
certi che i talenti che ci ha donato nel corso della nostra vita li abbiamo
fatti fruttare, attraverso il nostro prossimo, i nostri figli, ecc.
Prepariamoci a mostrargli tutto quello che abbiamo per gioire con Colui che è
stato ricco con noi nel darci i talenti senza dubbio alcuno, mostriamogli la
nostra soddisfazione, il nostro vanto e viviamo nell’attesa di quel ritorno.
3. Parimente,
quello dei due ne guadagnò altri due.
Sono certo che anche questo
servitore si rivolse dalla stessa banca del primo, perché anche lui guadagnò
altri 2 talenti, il capitale maturato arrivò a 4 e, certamente, fra sé pensò di
essere al pari del primo servitore, per aver investito allo stesso tasso. Era
un motivo d’orgoglio mostrare al padrone che nel prossimo futuro poteva avere
ancora più fiducia in lui, visto i risultati.
Durante il nostro vivere ci capita
sovente di fare dei paragoni con i ricchi del mondo senza considerare quello da
cui partiamo e ci disperiamo in modo insensato nel paragone.
Impariamo anche stavolta dal servo
modesto, lui si accontentò e parimenti al primo fu felice del risultato che
ebbe. Se abbiamo ricevuto pochi talenti da DIO da custodire, vuol dire che
quelli erano da far fruttare, consideriamo i talenti nel loro numero come un
banco di prova per tutti, dopo n’avremo di più e saremo certi di adempiere al
compito di DIO.
4. Ma
colui che ne avea ricevuto uno, andò e, fatta una buca in terra, vi nascose il
danaro del suo padrone.
Forse questo servo fu preso dallo
scoraggiamento, certo è che non andò da nessuna parte per investire il suo
talento e lo sotterrò o meglio se lo conservò soltanto. Investito da una scarsa
fiducia da parte del suo padrone, volle piangere sulla sua miseria e nello
scoraggiamento ebbe un pensiero degno di quel momento. Noi avremmo fatto la
stessa cosa, di questo sono certo.
Esaminiamo questo servo, minuto
nel suo aspetto, con questo talento in mano, se lo guarda ripetutamente, di
sicuro il palmo della mano era molto più grande di quel talento e non avrebbe
fatto una bella figura investendolo. E poi dove? “Forse sarà meglio
conservarlo, almeno sarò apprezzato per non essere fuggito con il talento”, questi
sono stati i pensieri del servo.
Ci si comporta così, quando si
guarda altrove e non al compito affidato, il servo “poveraccio” ebbe il torto
di aver guardato a quello più ricco e nel paragone soccombette nascondendo il
talento senza farlo fruttare.
Siamo capaci d’essere orgogliosi
di quel poco che abbiamo ricevuto? Molte volte non è così ed allora si ricorre
a stratagemmi per arrivare a mète astute e senza DIO. E’ necessario, invece,
far fruttare quello che DIO ci ha dato, saper guardare al dopo e compiacersi
della fiducia, anche se piccola, accordataci.
Queste tre figure riassumono i
diversi modi di guardare il futuro, anche se tutti e tre hanno ricevuto un
compito identico. Infatti, non è nel “quantum” che bisogna guardare, ma nel
gesto di chi ci accorda fiducia.
Chi mi commuove di più, però è il
servo “ povero” perché non ebbe nessun conforto dagli altri due e fece quello
che umanamente era naturale fare. Ma ciò che è lecito per gli uomini non lo è
per il SIGNORE, ed allora andiamo ai suoi piedi e chiediamo pietà e
misericordia di quante volte pigramente non abbiamo voluto investire i suoi
doni posti in ognuno di noi, lasciandoli sotterrati, appunto per mancanza di
fiducia.
5. Or
dopo molto tempo, ecco il padrone di quei servitori a fare i conti con loro.
Finalmente tornò il padrone!
Ignoriamo se questi sia stato accolto con soddisfazione oppure solo con un
“bentornato”, certo è che giunse senza preavviso alcuno.
Stanco del viaggio durato giorni
si riposò sereno, si rifocillò e dopo qualche oretta fu pronto per affrontare
il resto della giornata, perché … forse siamo nel pomeriggio.
Intanto l’animo dei servi era
sottosopra, dare conto al padrone non era una cosa semplice e poi ignoravano il
suo umore, certo è che in casa si viveva un clima tagliente, anche le tende non
ondeggiavano più al vento, i tempi erano maturi per la resa dei conti.
Ciò che m’incuriosisce è la
mancanza di una donna al fianco di quest’uomo, quindi, nella sua solitudine
manageriale, descriviamolo attento solo agli affari e non agli affetti o alla
mondanità, un tipo essenziale circondato di un mobilio austero e con un
carattere taciturno e senza compromessi.
Due colpi di mano ed ecco che i
servi accorrono, li invita a sedersi per essere relazionato su tutto circa il
tempo della sua assenza. Ormai i giochi erano fatti e da un momento all’altro
dovevano rendere conto dei talenti.
Lo spirito mi suggerisce che
quest’uomo non aveva amici, e che molto probabilmente volendone alcuni al
proprio fianco, stesse cercando delle garanzie da parte di chi viveva con lui.
Signore fa che quando verrai, in
quell’attesa, io non sia ansioso come quei servi, che sicuramente si ponevano
mille domande, e che il mio accoglierti possa essere caloroso e non timoroso.
Fa’ che accoglierti per me sia una gioia, vedere chi mi ha reso pari a se
stesso mi fa essere certo della ricompensa. Sì, perché nella tua assenza io ho
avuto premura di lavorare nel tuo campo, di imparare molte cose e tu mi
chiamerai per nome e non per uno schiocco di dita, già perché mi conosci prima che
il mondo fosse e conosci il mio cuore e le mie afflizioni e ti consegnerò i
miei talenti a due mani ed in grand’abbondanza e, nella gioia delle mie
fatiche, mi riposerò sul tuo “grazie” e potrò vivere tutti i giorni di fronte
all’eternità.
6. E
colui che avea ricevuto i cinque talenti, venne e presentò altri cinque
talenti, dicendo: Signore, tu m’affidasti cinque talenti; ecco, ne ho
guadagnati altri cinque.
Il primo servo ad essere chiamato
fu quello dei cinque talenti, il quale si presentò con altri cinque di
guadagno, nel consegnare quei talenti il servo era piuttosto teso ma fiducioso
ed il padrone in silenzio, almeno per il momento, accolse quella somma. Tutti i
servi erano in ansia per conoscere il parere del padrone, tranne quello
“povero” che era un pochino preoccupato.
Possano le mie mani consegnare
tanti talenti nelle mani di DIO e, fiducioso, attendere con un sorriso la sua
ricompensa. Talvolta i nostri talenti sono solo promesse del tipo “in futuro
sarò….” sono questi soldi falsi, inganni a noi stessi, dobbiamo dare nel
concreto ed in fede presentare a Nostro Signore il tutto.
Una vita spesa in attesa del
domani è una vita vuota, basata sul nulla, invece dobbiamo riempirla con le
nostre capacità, con quei talenti che il Signore ci ha donato prima che andasse
via per un viaggio.
Nel farli fruttare, dobbiamo anche
cambiare, ci dobbiamo trasformare ed assomigliare a Gesù, diversamente avremo vissuto invano e da poveri.
“E il suo padrone gli disse: Va bene, buono e fedel servitore; sei stato
fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo
Signore.”
Ed ecco che il padrone dopo
qualche minuto di riflessione, si rivolse al servo con parole di encomio,
congratulandosi, e gli dichiara che lo porrà ad alti compiti di responsabilità
circa i suoi averi e quindi in una condizione sociale elevata e di
responsabilità.
Il servo è tutto contento e non
osa dire nulla, anche se è molto imbarazzato; già esser chiamato servo fedele è
un gran merito, essere abbondato di beni e di incarichi importanti poi sono il
massimo. Ciò che non riesce a comprendere è:
“entra nella gioia del tuo signore “. Un servo modesto non aveva mai
osato chiedere nulla al proprio signore, ma entrare poi nelle sue gioie, era ancora
più incomprensibile.
Questo messaggio, però, appartiene
al regno di DIO, o meglio è il suo messaggio per gli uomini, ed allora
sindachiamo bene questo passaggio, perché è per ognuno di noi.
Nostro Signore ci ha dato dei
talenti (doni) da usare durante la nostra vita, ora questi talenti, sono stati
degnamente messi a frutto durante la nostra esistenza oppure li abbiamo
lasciati assopiti? I talenti per nostro Signore sono molto importanti perché
guardano al cielo e non alla terra, o meglio, ci mettono nella condizione di
svolgere la nostra vita terrena e di stare attenti alle esigenze di DIO.
Se fossimo dinanzi a DIO cosa ci
saremmo aspettati da Lui? Come ci sentiremmo. Porsi dinanzi a DIO è terribile,
perché ciò che siamo svanisce, la nostra coscienza prenderebbe corpo e
l’invisibile vita. Avremmo la gioia nel cuore di mostrare a DIO gli interessi
dei cinque talenti? Nel momento di riflessione come ci sentiremmo?
Signore donami la capacità di
guardare a te e di portarti tanti doni frutto di quel seme che hai posto in me,
fa o Signore che le tue parole siano di plauso e non di rimprovero e che possa
godere le tue eterne benedizioni. Possa il mio posto essere dinanzi a te, per
contemplare la tua gioia e non le mie miserie e, se mi trovassi debole, la tua
mano raccogliermi e gustare il tuo volto santo.
Avere i meriti da parte di Nostro
Signore vuol dire essere invincibili, avere una vita straordinariamente
benedetta, possedere occhi e cuore che pregusterebbero le cose di lassù.
Il plauso di nostro Signore lo
possiamo ricevere in ogni momento, perché il Signore ci parla del continuo,
quindi il “quando verrà” si riferisce anche al rendiconto in seguito ad una
nostra scelta terrena. Va detto che un buon padre, qual’è DIO, non può, prima
ignorarci per un lungo periodo e dopo prendersi cura di noi, perché, così
facendo, vanificherebbe il dono della preghiera che ci ha dato. Lui si prende
cura di noi sempre ed in ogni istante per metterci nelle condizioni di non
essere presi alla sprovvista. Dipende poi da noi se la nostra cocciutaggine è
malleabile, oppure modellabile ai suoi disegni.
Il premio di nostro Signore, di
costituirci su grandi cose, può essere inteso come capacità di dominare su
molti nostri problemi e di avere una nuova mente più celestiale, in siffatto
modo, l’essere costituiti su grandi cose avrebbe il significato di saper
vincere il peccato e tutte le sue tentazioni.
7. Poi,
presentatosi anche quello de’ due talenti, disse: Signore, tu m’affidasti due
talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.
Rincuorato e gioioso il servo si
allontana, finalmente si è tolto un cruccio dal cuore e dalla mente, ora il
padrone, attende il secondo servo, e vediamo che questo è molto teso perché,
rispetto al primo, ha molto meno da offrirgli e quindi, titubante com’è,
consegna i quattro talenti al suo signore.
Il padrone lo guarda lungamente
senza parola alcuna, ed in quel silenzio il servo capisce che qualcosa non Va.
Allora decide di prendere la parola e di anticiparlo, come per giustificarsi
rispetto al primo servitore.
“Signore, tu
m’affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.”.
Il padrone prende atto di questa
solerzia e si appresta a consolare l’uomo e non il servo.
Possiamo noi nella nostra vita
essere come questo servo? Possiamo essere giusti anche nell’apparente poco ed
avere la sua schiettezza? Ne dubito, nel voler possedere sempre molto ed in
grand’abbondanza sono certo che, se ci fossimo trovati al posto di quel servo,
avremmo fatto venire un gran mal di testa al padrone, per le nostre inutili
giustificazioni. Invece dobbiamo imparare da costui ed essere coerenti con ciò
che sappiamo fare, perché se abbiamo fatto le nostre azioni nella correttezza,
non avremo niente da temere ed potremo essere sereni dinanzi a qualsiasi
giudizio.
8. Il
suo padrone gli disse: Va bene, buono e fedel servitore; sei stato fedele in
poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.
Finalmente gli indugi si rompono,
ed ecco che il padrone solleva dal suo cruccio il servo fedele, premiandolo
come il primo.
Chissà però cosa avrà pensato il
primo servitore con i suoi dieci talenti. Vogliamo immaginarci che si sia
pentito di aver dato tutti e dieci i talenti e non i quattro del secondo
servitore? Possiamo oppure immaginare che, avendo il secondo ricevuto la sua
stessa ricompensa, tra sé credeva forse di meritare qualcosa in più?
Certamente qualche pensiero del
genere gli sarà balenato dalla mente, mentre il secondo servitore avrà
largamente, e più del primo, apprezzato i meriti che il padrone gli aveva
appena concesso. Nel poco si è trovato ad avere molto e nel timore di essere
rimproverato si è trovato ad essere premiato.
Usiamo anche noi il coraggio di
questo servo che, pur essendosi scusato col padrone, si è trovato ad avere
molti meriti; imitiamolo ad accontentarci dei talenti che il SIGNORE ci ha dato
rispetto ad altri, mentre, talvolta, noi confondiamo i talenti con le conquiste
personali della vita. Dobbiamo capire che i talenti sono quelle qualità che in
modo effervescente emergono in noi specialmente nei momenti di difficoltà.
Impariamo a non essere invidiosi
verso il nostro prossimo, gratuitamente abbiamo ricevuto e, dopo aver lavorato
e fatto fruttare ciò che ci è stato donato, dobbiamo donare; così deve essere
la vita di un cristiano e di un servo di DIO.
DIO, quale buon padrone che è, vede
i cuori e non le quantità e sa darci la giusta ricompensa, generosamente, senza
farci mille domande e le sue azioni sono così eclatanti che ci meravigliamo di
quanto poi ci dona.
9. Poi, accostatosi anche quello che avea
ricevuto un talento solo, disse: Signore, io sapevo che tu sei uomo duro, che
mieti dove non hai seminato, e raccogli dove non hai sparso;
Importante è il terzo servo,
infatti, il versetto inizia con: ” accostatosi”. Si capisce immediatamente che
questo, a seguito dei premi ricevuti dai primi due, era certo di non poter
essere premiato e neanche poteva presentarsi di fronte al padrone come loro,
quindi piano, piano cercò di raggiungere la stessa posizione, ma
trasversalmente e con le spalle strette.
Nel giustificarsi anticipa il
rimprovero del padrone e cerca disperatamente di fare breccia nel suo
carattere, infatti, lo chiama “ uomo duro”. In modo astuto, questo servo
vorrebbe dimostrare non solo di conoscere l’indole e la personalità del suo
padrone con quell’appellativo di “duro”, ma anche di aver intuito il suo modo
di agire, essere sempre giusto, lo aveva arricchito. Insiste anche col “mieti
dove non hai seminato” e cerca disperatamente di condurlo a addolcire il suo
cuore, convinto che per il padrone nulla era impossibile. Era quasi certo di
una sua condanna ed allora era preferibile giocare il tutto per tutto e cercare
di convincerlo che anche la sua azione infruttuosa era un segno di fedeltà e di
rispetto per i suoi ordini: aveva mirabilmente conservato intatto il talento.
Ma non era questo il desiderio del suo signore!
Questo servo raffigura i nostri
tentativi da masochisti di difenderci, quando abbiamo torto marcio, o di fronte
a chi ci conosce bene o che bene conosciamo. Ma i conti si fanno sempre in ogni
istante della nostra vita e specialmente in quell’istante preciso alla consegna
del talento. Non possiamo fare di testa nostra e poi trovare una scappatoia di
fronte a DIO, se abbiamo deciso un comportamento, dobbiamo essere coerenti fino
alla fine e non, come il servo in questione, che cerca di scusarsi inutilmente.
Impariamo ad avere una solerte schiettezza di fronte a DIO e, senza indugiare,
chiedergli soccorso anche nei momenti dubbiosi.
Il padrone, con la sua esperienza,
da quei discorsi aveva capito che aveva posto male la sua fiducia, quindi
ascoltava quel servo col volto crucciato e, col la mano al mento, cercava di
comprendere le sue ragioni, ma senza successo, mentre gli altri due servi
ascoltavano timorosi l’evento.
Le molte parole hanno sempre alla
base il falso, quindi è preferibile che dinanzi a DIO ci rapportiamo in modo
sincero e schietto.
10.
ebbi paura, e andai a nascondere il tuo talento sotterra; eccoti il tuo.
Avrei voluto chiedergli di cosa
avesse avuto paura, eppure aveva visto gli altri due servi che, prima di lui,
avevano investito i talenti, quindi perchè temeva il suo padrone? Credo che
nascose il suo talento sottoterra per il timore di consumarlo per sé, una forma
di protezione verso le proprie debolezze.
Giustifica la sua azione al
padrone in questo modo, “ebbi paura” e con mano tremante gli consegna il
talento, dicendo: “Eccoti il tuo”. Il coraggio e lo spavento di questo servo si
notano durante la lettura del versetto che non promette nulla di buono per le
conseguenze. Immaginiamo quindi questo servo con la mano tesa e col talento in
mano, tutto tremante, uno sguardo vitreo e teso.
Nascondere i talenti, oppure i
doni che DIO ci ha dato, è come averlo defraudato in modo ingannevole, gli
diciamo con il nostro gesto, che ha fatto male a riporre in noi la sua fiducia,
accordandoci il talento. Se questo gesto lo abbiamo fatto, è perché non abbiamo
avuto fiducia in DIO e non solo non lo abbiamo voluto ascoltare, ma non
abbiamo, di proposito, chiesto aiuto in caso di dubbio. Adombrare DIO con il
nostro carattere vuol dire metterlo in un cantuccio, non confidare in Lui e
quindi non credere nella sua fiducia di PADRE.
Purtroppo noi molte volte siamo
come questo servo, vogliamo primeggiare per le nostre qualità, senza mettere a
frutto i doni di DIO. Poi avremo l’arroganza di spiegare e balbettare mille
scuse per non averlo fatto. Per essere onesti nei confronti di DIO non dobbiamo
solo restituire ciò che ci ha dato, ma anche mettere a frutto il suo dono
gratuito. Non dobbiamo ingannarlo quindi, vivendo una vita senza anima, inutile
e vuota. Cerchiamo dunque di non restituire quel talento prima di saperlo
guardare, conoscerlo e metterlo a frutto, cioè restituiamo la nostra vita dopo
averle dato un significato nella relazione con DIO, ultima mèta della nostra
esistenza.
11.E
il suo padrone, rispondendo, gli disse: Servo malvagio ed infingardo, tu sapevi
ch’io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
Ormai il padrone ha sentito e
visto parecchio, si è trattenuto più del doppio del tempo che aveva speso con
gli altri due servi, quindi, levatosi in piedi, con lo sguardo truce e l’indice
puntato, esclama il suo rammarico. Lo chiama malvagio, bugiardo, simulatore,
pigro, e già con questi epiteti sarebbe dovuto morire all’istante, ed invece
resta in piedi ed indietreggia di qualche passo, ascoltando il resto dal suo
padrone.
Or bene, se il servo conosceva la
potenza del suo padrone, perché non si è dato da fare per far fruttare il
talento affidatogli? Infatti, la potenza del suo padrone gli avrebbe spalancato
molte porte, in quanto era temuto nella sua città, quindi perché non si è
fidato della sua grandezza e del suo onore nel popolo.
M’incuriosisce il … “tu sapevi”;
quasi certamente questo padrone era come un boss nella città, temuto da tutti e
rispettato da tutti, quindi questo poveraccio di servitore si trovò, nel suo
spavento, ad accettare il male minore, ovvero a conservare il talento. Tutti i
torti non aveva! Come poteva essere partecipe di una così potente fama, in
parte anche tiranna, se anche gli altri due servitori, più scaltri certamente,
erano mossi da timore più che da un brillante entusiasmo!
A questo punto il servo non poteva
dire e fare nulla, e neanche se avesse avuto alle sue spalle mille chilometri
gli sarebbero bastati per correrli tutti. Muto di fronte a questi epiteti il
servo si appresta a cambiare condizione sia sociale che morale.
Anche questo versetto ha uno
sviluppo solo e soltanto per conto di DIO.
Difatti solo Dio è conosciuto e
temuto per la sua giustizia, solo Lui ha in sé questa certezza e questo vanto,
ed allora diciamo che questo passaggio è esclusivamente nostro e ci deve
indurre a considerare che il Signore che noi serviamo è il Dio delle cose
impossibili e che nessuna scusa è plausibile presso di lui. Quindi non ci venga
mai in mente di trovare scusanti d’alcun genere, muoviamoci a far fruttare il
suo talento, a guardare i compiti grandi o piccoli che ci affida in ogni
istante della nostra vita, ad avere poche parole ma buone e di non essere
tremanti dinanzi al suo cospetto, ma fieri del compito da noi svolto.
12.
dovevi dunque portare il mio danaro dai banchieri; e al mio ritorno, avrei
ritirato il mio con interesse.
In questo versetto si evince la
grandezza da BOSS del padrone, difatti diversamente dal comportamento dei due
precedenti servitori, con questo il padrone adopera un linguaggio più diretto.
Ripete per ben due volte “mio” e per la prima volta indica il luogo in cui
doveva portare quel benedetto talento, in banca. Allora, mi chiedo, perché
prima di partire non lo ha consigliato? Quindi suppongo che i primi due erano a
conoscenza del luogo dove riporre i talenti, mentre il terzo non sapeva nulla.
Ed allora spezziamo una lancia a
favore del 3° servitore dicendo che, pur non essendo stato coraggioso
nell’investire, non è stato neanche opportunista nel volersi trattenere per
conto suo il talento; forse il padrone avrebbe dovuto essere più mite nei suoi
confronti ed educarlo per la prossima volta.
Gesù quando raccontava la parabola
dei talenti era già reduce da un’altra parabola, quelle delle vergini, e quindi
l’uditorio non avendo capito nulla della prima, ecco che il Signore calca la
mano con la seconda. Nel commentarla ho usato un dialogo investigativo, ma
certamente Gesù voleva alludere che, non si possono conservare i DONI di DIO,
ma bisogna farli fruttare ad ogni costo, bisogna avere acume, intelligenza e
cercare di allargare la SUA benevolenza.
I talenti di DIO sono contagiosi,
in altre parole incuriosiscono gli altri, spingono il prossimo a visitare chi
li ha, perché chi li possiede ha una marcia in più nella vita. È figlio di DIO
e non è una cosa da poco, questo deve spingere chi lo è ad impegnarsi a far
fruttare tutti i doni ricevuti a costo di consumare la propria vita per questo
scopo.
La figura delle banche e degli
interessi, è un episodio solo temporale in questa parabola, si potrebbero
trovare delle analogie, ma non è il caso.
Lo spirito di DIO è quello che
rende efficace la sua parola e fa sì che ciò che promette non resterà senza
effetto, e che nulla deve restare fermo ed inerte, tutto deve muoversi, deve
contagiare perché la sua parola VIVE e deve vivere in tutti.
13.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a colui che ha i dieci talenti.
Ed ecco che puntuale giunge la
sentenza del padrone che, ormai in piedi ed alle spalle del servo, sentenzia.
Il servo non è che si aspettava altro, perché fino a quel momento non aveva
ascoltato che intimidazioni e rimproveri, ma ciò che lo umiliò fortemente fu la
consegna del suo talento a chi ne aveva dieci, in altre parole al primo
servitore, quasi a dire che quello era migliore di lui.
Effettivamente lo fu, ma non
migliore, più assennato, perché ascoltò il consiglio del padrone e non esitò un
solo istante ad andare ad investire i suoi talenti in banca. Diciamo che fu più
furbo, ma il regno di DIO è per chi è scaltro? Talvolta facciamo bellissimi
ragionamenti insensati, mentre un altro alle nostre spalle con un semplice “si”
si è conquistata la salvezza, e noi stiamo lì a capire il senso di ciò che
abbiamo detto.
Ora però il servo ne aveva undici
di talenti, ma cosa n’avrà fatto? Sarà ritornato dalla banca, oppure avrà fatto
qualcos’altro ancora? Mi sarebbe piaciuto saperlo, possiamo solo immaginarci il
prosieguo.
Rendere omaggio ai servi è
d’obbligo, non tanto s’impara dai primi due, quanto dal terzo, infatti,
quest’ultimo mette in chiaro l’animo umano di fronte a DIO e nel confronto
emergono realtà contraddittorie.
Essere onesti e non avveduti e
scaltri non è nei piani di DIO, infatti se il suo regno è in espansione, tale
successo ed impegno richiede un incremento d’anime nella qualità e non
nell’essere prolissi.
Dio dice “discutiamo” e non
“parliamo” vale a dire confrontiamoci, cerchiamo di trovare un accordo e non
vuole perdere tempo solo per il gusto di farlo, quindi la pigrizia od il timore
del terzo servo, secondo le leggi di DIO, non possono essere prese in
considerazione e vanno subito scartate, mentre l’azione dei primi due
dev’essere presa in considerazione, anche se con riserva.
Nella nostra vita, non possiamo
trovare dei compromessi, ma è necessario schierarci dalla parte di DIO, per
poter vivere e vivere in abbondanza, Lui è l’elargitore dei doni, dei TALENTI,
LUI è la nostra vita.
Se quei servi avevano trovato un
padrone severo, ma pronto ad essere generoso, tanto più sarà il nostro Signore
con noi per tutto ciò di cui avremo bisogno. Se lo abbiamo ignorato faremo la
fine del terzo servo, ma se lo avremo considerato avremo i meriti e, fin da
subito, potremo entrare nella sua gioia.
Quindi impegniamoci ad entrare
nella gioia del Signore e tutto il resto farà parte dei doveri di DIO, e nulla
ci mancherà.
14. Poiché a chiunque ha sarà dato, ed egli
sovrabbonderà; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
Gesù è alla conclusione della parabola
e tira le somme. Certamente sono conclusioni ovvie, ma nel contesto della
parabola sono di una durezza estrema, si parla di togliere ed aggiungere e
questo nella vita degli uomini, quindi gli occhi sono serrati e la paura è
percettibile a lunga distanza.
Dare a chi è meritevole è nei
piani di DIO, infatti, ognuno ha avuto i giusti talenti da far fruttare nella
vita, ora bisogna considerare se queste persone sono state consapevoli di
questi talenti, oppure hanno pensato solo alle vanità del mondo. In questi
tempi moltissimi pensano a sé e pochi ai talenti ricevuti, e la miseria dilaga
nelle strade ed invano si cerca di trovare un espediente a tale flagello.
Siamo noi il flagello di noi
stessi, se abbandoniamo il compito dei talenti e quello di farli fruttare per
il nostro prossimo, nelle durissime battaglie della vita, altrimenti saremo
come il terzo servo infedele che per paura sotterrò il talento.
In caso di necessità bisogna
investire il talento a noi datoci, bisogna mostrarlo con fierezza, è necessario
dire a chi apparteniamo, a quel Signore che miete laddove non ha seminato.
Noi abbiamo un DIO giusto e PADRE
che retribuisce generosamente ma che ammonisce giustamente, quindi poniamo
l’orecchio alla voce di DIO affinché possiamo ascoltare il giusto consiglio,
come quello dato ai due servi e vivere alla grande e con una marcia in più.
Rigettiamo l’idea del protagonismo, dell’essere pieni di noi stessi, presto ci
ritroveremo con la mano stesa ad essere umiliati.
Signore facci ricchi dei tuoi
talenti, facci meritevoli di quelli che abbiamo, donaci una vista eterna perché
grandi sono i miei progetti, semmai non fossi in grado di far fruttare i
talenti, insegnami e guidami perché io possa servirti in grand’abbondanza e
consegnarti altre anime come frutto dei tuoi talenti nella mia vita.
15. E quel servitore disutile, gettatelo nelle
tenebre di fuori. Ivi sarà il pianto e lo stridor dei denti.
E’ ancora la voce del severo
padrone a sentenziare, non sono bastati i pesanti epiteti al servo, che subito
si scorge un’altra condanna, quello di buttarlo fuori di casa.
Forse sarà stato disutile per gli
investimenti, ma è stato utile per accudirlo; invece per le leggi di DIO questo
50% non basta, bisogna essere perfetti per poter servire il RE dei RE, e non ci
sono mezze misure, bisogna essere in grado di servire in ogni ambito il nostro
DIO e non in modo mediocre.
Noi abbiamo un’intelligenza più
degli altri, abbiamo un consigliere unico nel suo genere, quindi non possiamo
sbagliare. Farlo significa essere stati disavveduti e poco attenti, quindi
dedichiamoci con tutto il nostro fervore a servire l’ETERNO e lui ci modellerà
a suo piacimento ed entreremo nelle sue gioie e non in quelle del mondo.
Quel servo fu gettato fuori della
casa e il mancato asilo sicuro di una casa ed i rimorsi lo avrebbero consumato
per sempre.
Molte volte ci siamo trovati anche
noi come quel servo, quando abbiamo agito per conto nostro, poi, i problemi
grandi si sono affacciati, e ci siamo consumati nei rimorsi, nei ma e nei tanti
perché.
Signore se qualche volta questo è
accaduto nella mia vita, fa che io possa ascoltarti con sollecitudine che io
possa imparare da te che sei mite e giusto, non farmi albergare fuori della tua
grazia, ma nel tuo cuore possa trovare il mio giaciglio sicuro in ogni tempo
della mia vita.
IL FATTORE INFEDELE
LUCA 16: 1
Commento del
fratello ALFREDO
L’instancabile Gesù tiene in allenamento i suoi
discepoli che, ormai frastornati dalle tante parabole, non hanno neanche il
tempo di riflettere che subito ve n’è un’altra da capire. Non so se i discepoli
qualche volta avevano osato dire “ora basta”, sta di fatto che non avendo altro
da fare se non essere istruiti alla scuola del Maestro, l’unico impegno era quello di ascoltare Gesù, il quale li teneva bene d’occhio.
1. “V’era
un uomo ricco che aveva un fattore il quale fu accusato, dinanzi a lui, di
dissipare i suoi beni”.
A quel tempo, di ricchi ve n’erano
pochi davvero ed avere anche un fattore, rendeva quell’uomo ancora più unico.
Si viveva di espedienti, talvolta anche di carognate, era una vita per strada,
quindi conoscere, nel vero o nel falso, i fatti di chicchessia era un’abitudine
quotidiana.
Un bel giorno qualcuno decise di
far del male a questo fattore, andò dal padrone e disse che costui stava
sperperando i suoi beni in modo dissennato. I benedetti padroni, seppur
danarosi erano ingenui e si fidavano del “ vox populi ”, cioè credevano facilmente a calunnie, raccontate come
fatti veri.
Immaginiamo: quel giorno era una
bella giornata, il padrone si era appena levato dal letto e si apprestava a
fare colazione, la presenza di quest’intruso o meglio pettegolo, lo mandò su
tutte le furie. Avrebbe fatto bene a
denunciare “il pettegolo” di calunnia e, avrebbe salvato la sua dignità ed il
suo casato facendolo arrestare. Invece in quei tempi la giustizia degli uomini
non esisteva di fatto, non vi era un codice su cui poggiare le proprie ragioni,
mancava il diritto privato. S’intuisce che non vi era neanche nessun rispetto
della pubblica morale, insomma era
l’anarchia totale.
Quante volte nella nostra vita
abbiamo agito come quel pettegolo, abbiamo architettato un piano e poi siamo
andati a raccontare fandonie, quante volte nella furia di far vendetta
architettiamo piani strategici degni d’onore militare. Sicuramente non stavamo
in pace con noi stessi e il gusto della vendetta era piacevole da assaporarsi.
Gesù c’esorta che stando al suo
fianco questi comportamenti non devono aver luogo per nessuna ragione,
c’insegna che l’arroganza è la madre della lite, ed in quella pozzanghera c’è
solo sporcizia. Quindi restiamo integri nei nostri comportamenti, non sciupiamo
il tempo scorticando ragioni lontane, e lasciamo le nostre ragioni nelle mani
di DIO ed egli opererà alla grande, consumiamo i nostri passi per la gloria del
Signore senza infangare il prossimo.
2. Ed egli lo chiamò e gli disse:
Che cos’è questo che odo di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché
tu non puoi più esser mio fattore.
Il padrone, pieno d’ira girava su
tutte le furie, ringraziando il pettegolo per l’informazione ricevuta. Senza
batter ciglio chiamò il fattore.
Questi era impegnato a fare conti
ed a distribuire compiti per la giornata, ma accorse benevolmente al suo…urlo,
quando improvvisamente il padrone, tutto accigliato ed ad un passo da lui, gli
chiese spiegazioni circa la calunnia che aveva appena ascoltato, e non solo,
già lo congedava dal suo lavoro.
Quel fattore scese dalle stelle,
non sapeva che pesci prendere. Ascoltava inerme il padrone che aveva già deciso
di cacciarlo e, esterrefatto e stretto fra le spalle, sperava che terminasse
quella serie di rimproveri. Il povero fattore fu invaso da rimproveri
ingiustificati, se avesse avuto la forza di denunciarlo per calunnia, il
padrone avrebbe potuto sperimentare una condanna certa su di sé ed avrebbe
risarcito il fattore.
Vedo strano, però, il comportamento
del padrone, che pur avendo un fattore, si fidava di lestofanti per i suoi
affari, ed invece di tutelare i suoi, li esponeva alla mercé del pettegolezzo.
Altra cosa strana poi, è che il padrone chiedesse conto dell’amministrazione,
proprio lui che, grazie alla benevola fiducia posta nel fattore, ne aveva
ricavato così buoni profitti da non interessarsene fino ad allora, bene, ora
vuole essere edotto circa i conti dettagliati dei suoi affari. Sicuramente
questo era un padrone con una valutazione di merito molto basso, direi 4, era
di quei padroni ignoranti con la pancia gonfia ed il cervello da moscerino,
purtroppo in quella circostanza lui era il padrone e non si discuteva.
Ma ciò che discuto invece con il
Signore è: “E’ mai possibile che tutti i disgraziati, lestofanti, ladri,
farabutti devono essere i protagonisti delle parabole?” Un giorno glielo
chiederò, ma credo che Lui voglia che i buoni protagonisti fossimo noi e che
costoro li possiamo bene lasciare lì dove sono su due righe di foglio.
Il fattore non aveva risposto alle
sue domande, giusto sarebbe stato difendersi, ed invece l’azione definitiva del
padrone fu come un secchio d’acqua su di un fuocherello. I discepoli che erano
lì ad ascoltare Gesù
non capirono nulla, quasi infastiditi cercavano di starsene comodi e qualche
grattata sul capo non dispiaceva. Loro non potevano dire: “Non ho capito”,
erano i discepoli di Gesù e se ne stavano lì in balìa dei sogni ad ascoltare Gesù che,
come un caterpillar, avanzava senza posa.
Il Signore ci insegna che con Lui
dobbiamo avere sempre un rapporto costante di rendicontazione, non basta avere
la sua fiducia e poi andarcene per conto nostro, è necessario confermare con
Gesù la fiducia, che deve essere straordinaria e a prova di pettegolezzo.
Certamente Lui non ha bisogno di questo, ma la costanza di scocciarlo del
continuo, rientra nei nostri doveri.
Se quel fattore, invece di badare
sempre ai conti, avesse di volta in volta coinvolto il padrone nel suo operato,
avrebbe ispessito il rapporto di fiducia, e non sarebbe bastato un piccolo
venticello per far crollare la giusta condotta del fattore. Noi abbiamo il
compito di fare ciò, scocciare del continuo il Signore, rendere conto dei
nostri andamenti di vita, dei nostri problemi e rafforzarci con la sua fiducia.
Impariamo questa lezione e ci
troveremo più bambini, più coccolati ed anche il nostro pianto sarà sempre
ascoltato ed asciugato dalla Sua mano.
Resta che il fattore ha tutta la
mia simpatia e solidarietà. Quei tempi sono uguali ai nostri in quanto nella
nostra società non si bada più alla qualità di un rapporto di lavoro, ma alla
forma che circonda il lavoro stesso, e quel padrone è identico a quelli d’oggi
ignoranti e presuntuosi, quindi, quando c’imbattiamo in questi personaggi,
ricordiamoci del fattore e certamente la conquista del nostro pane sarà meno
amara del solito.
3.
E il fattore disse fra sé: Che farò io, dacché il padrone mi toglie
l’amministrazione? A zappare non son buono; a mendicare mi vergogno.
In siffatte situazioni il fattore
si trova, suo malgrado, in una condizione terribile: messo alla porta dal suo
padrone, fa un resoconto delle proprie capacità lavorative e riscopre di non
saper fare null’altro che il fattore. Quindi una via d’uscita non vi era, ma
qualcosa doveva pur trovare per assicurarsi almeno un decoro nell’ambito
pubblico. Ormai il padrone era uscito di scena, ricorrere a spiegare le proprie
ragioni, non era il caso, perché non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe
ascoltato un “cacciato per presunta frode”. Sebbene fosse in quella condizione,
voleva a tutti i costi spiegare la sua innocenza e questo cruccio lo assillava
giorno e notte. Poiché prima di andare via doveva sistemare i conti, era
rimasto ancora al servizio del padrone.
I discepoli, ascoltando Gesù, si
erano talmente immedesimati che, impauriti, sgranarono gli occhi e rizzarono le
orecchie pensando che loro fossero i “fattori”. Gomitate ed occhiate girarono
furtive tra i discepoli, mentre Gesù ogni tanto rallentava con la speranza che
qualcuno gli facesse qualche domanda.
Gesù stava insegnando questo: in primo
luogo di essere avveduti nei rapporti fra le persone, di tutti i ceti; in
secondo luogo di avere una buona stima fra il popolo e di non pensare sempre a
sé o a quello che si sta facendo in un modo morboso. Questi due punti si aprono
nel sociale e, secondo la visione di Gesù, aprono prospettive ampie, di contatto e
d’esempio. Infatti noi possiamo portare vantaggi al prossimo solo e soltanto se
abbiamo un rapporto con lui, diversamente ci troveremo nella nostra solitudine
a contare sogni oppure soldi altrui. Dobbiamo essere aperti a tutte le
mentalità, imparare sempre in ogni situazione e non lasciare nulla d’intentato,
specie con il prossimo.
Molte volte ci siamo trovati soli,
e questo anche nella nostra comunità, per non aver voluto condividere con il
nostro fratello gioie e pensieri, nel timore di essere derisi. Posso dire
invece che quando ci rivolgiamo ad una persona investita di un compito, questi
piacevolmente porge il fianco e sovente il problema o il consiglio giunge, così
abbiamo fatto di quella persona un nostro alleato, anche nella cattiva sorte.
Non dobbiamo essere disperati se
ci accade qualcosa, il “fattore” si rivolse solo a se stesso, noi abbiamo il
dovere di rivolgerci a Gesù e chiedergli aiuto, Lui, diversamente da quel padrone è
il SIGNORE, è la certezza del soccorso e la protezione nella nostra
cocciutaggine.
Quando ci succedono delle
catastrofi nella nostra vita, cerchiamo d’essere solerti a trovare Gesù e non a
rovistare fra le nostre miserie, se lo faremo ci troveremo con una mano stesa
in soccorso, avremo un valido consiglio ed una via da percorrere, valida per la nostra
situazione.
4. So bene quel che farò, affinché,
quando dovrò lasciare l’amministrazione, ci sia chi mi riceva in casa sua.
Finalmente l’astuzia del fattore
giunge ad un compromesso alquanto vile, sfrutta l’ignoranza del padrone per
accampare un vantaggio per se stesso. Tutti i torti non li aveva, in qualche
modo doveva badare pure a stesso, dato che fino a quel momento non lo aveva
fatto.
Si macchia, però, di un grave
reato penale, furto, falso in bilancio, nonché di concussione. Il comportamento
del fattore, può essere dichiarato perspicace in quella circostanza ed in
quella società, giacché anche il padrone aveva osato calunniare il fattore
senza prove e sbatterlo fuori senza ragione.
Noi non dobbiamo assolutamente
ricorrere a questi stratagemmi, ricordiamoci che un’ingiuria può essere
ricondotta alla ragione con una semplice spiegazione o, in casi ostili,
lasciando che l’ingiuria stessa svanisca alla luce di un nostro corretto
comportamento.
Il fattore va alla carica, ha in
mente un piano strategico ed è pronto ad attuarlo, ormai lo ha preparato nei
minimi dettagli e si appresta a metterlo in pratica. I discepoli finalmente si
sono rincuorati, finalmente c’è una buona notizia è tornato il sorriso sulle
loro labbra, mentre il Signore con vigore continua il suo racconto. È questa
una piccola guerra fatta d’ignoranza e vendette, quante volte, anche noi, ci
siamo trovati nella condizione di affrontare il nemico sfruttando i suoi lati
deboli e, nella circostanza, di farci alleati un po’ strani, magari chi per un
tempo avevamo messo da parte?
Il Signore c’insegna che queste
architetture non vanno assolutamente bene, e se ci siamo trovati in un
pasticcio lo dobbiamo solo alla nostra superficialità comportamentale, quindi
andiamo a discutere con il Signore il da farsi e, nell’attesa, scopriremo un
altro modo di affrontare il nostro nemico.
Va detto anche, che tutti i
rapporti di lavoro devono essere fatti con scrupolosità ed onestà senza
lasciare la possibilità che il nostro stesso lavoro ci crei un danno. Il
fattore non conosceva Gesù, mentre noi lo conosciamo e questo ci deve indurre a
mitigare il nostro comportamento sanguigno nei momenti di contrarietà nella
vita.
Il povero fattore fece tutto per
trovare asilo nel momento della distretta ormai prossima, fino a quel momento
viveva col padrone, ma ora il cielo sarebbe stato il suo tetto, e quindi pensò
bene di trovarsi una sistemazione.
Ma come si sarebbe comportato il
fattore se avesse conosciuto Gesù? Qualche reato in meno lo avrebbe commesso, ma dubito
che si sarebbe fidato di Lui, avvinto dal suo lavoro e, ormai succube del
padrone, non avrebbe avuto altri occhi che solo per il padrone.
Il denaro è il veicolo della
solidarietà, il furto quello del rispetto, l’arroganza quello della ragione, in
conclusione una pessima società e dei poveracci in un simile ambiente.
Pur di avere una sistemazione, il
fattore è disposto a tutto, e riuscirà nel suo intento per l’ingenuità del
padrone, colpevole di aver esasperato immotivatamente un suo servo fedele. Meno
male che noi possiamo dire di avere un DIO che non ci esaspera, anzi siamo noi
che lo esasperiamo, e che troviamo sempre asilo presso di lui in ogni
circostanza e che la presenza di CRISTO Gesù ci garantisce attenuanti degni di pace e
di speranza.
5.
Chiamati quindi a se ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al
primo: Quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento bati d’olio. Egli
disse: Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: Cinquanta. Poi disse ad
un altro: E tu, quanto devi? Quello rispose: Cento cori di grano. Egli disse:
Prendi la tua scritta, e scrivi: Ottanta.
Il Signore descrive ora
meticolosamente il comportamento del fattore, o meglio la sua azione. I
discepoli fanno il tifo per lui e si rallegrano per la sua ascesa, quasi fanno
baccano specie PIETRO con i suoi spintoni, anche se qualche break o spuntino
avrebbe fatto piacere, e tutti sperano in miracoli tascabili del Signore. In
ogni caso andiamo avanti, perchè il racconto ci avvince.
Il fattore pensa fra sé: “Ho fatto
del bene e non sono stato apprezzato, ora faccio del male e lo sarò”. Il male
del fattore era rubare, ma rubare a chi aveva calunniato, era, quindi, una
regolazione di conti che andava fatta. L’idea del fattore era sempre
finalizzata a risolvere un fatto concreto: non sapeva fare nulla e non sapeva
dove andare; possiamo dire che la sua risoluzione fosse della serie “I regali
fanno sempre piacere”. Quindi iniziò a chiamare i vari debitori del padrone e
fece loro un allettante ragionamento che gli assicurò un vitalizio lunghissimo,
ebbe da costoro vitto e alloggio in cambio di uno sconto enorme sui debiti che
avevano verso il padrone.
I debiti condonati furono
tantissimi, si può dire dimezzati, ognuno ritornò ai suoi affari piacevolmente
soddisfatto e con una buona opinione verso il fattore. Olio, grano ed altra
merce andò svenduta, ma il padrone, che era sempre attento agli umori del
popolo, si trovò un bel giorno ad ascoltare un altro ruffiano che parlava bene
del fattore. Infatti, persone che dovevano restituire al padrone ingenti somme,
ora, avendo avuto dal fattore un condono sui debiti, non potevano non lodare il
buon fattore, ed il padrone ne rimase entusiasta.
Il fattore divenne famoso per la
sua generosità, anche se aveva fatto ciò non per buon cuore, solo per egoistica
urgenza, ma i rimpianti non servono, ed a questo punto era felice di avere un
pensiero in meno. Certamente non poteva essere più il fattore di nessuno a
causa degli sconti che aveva fatto, ovvero perse di affidabilità, ma la legge
della sopravvivenza imponeva un carattere scaltro.
I discepoli all’udire ciò furono
entusiasti, forse Andrea cominciò a ballare e molti gridavano di gioia, ma il
Signore serbava, appena dopo, un digestivo alquanto amaro.
Da questo breve racconto si
evincono diverse lezioni di vita:
1.
Non bisogna mai rubare per accampare una vendetta, ma
essere onesti, malgrado tutto;
2.
Mai svendere il proprio decoro e la propria
onorabilità;
3.
Non bisogna scendere a compromessi con gli opportunisti
o calunniatori.
Lasciando stare per un attimo il
comportamento contingente del fattore, vediamo quali insegnamenti il Signore ci
propone con questo frangente di storia.
Possiamo, per il momento,
interpretare la figura del fattore come il nostro mediatore con Dio, Gesù.
Lui non ci può fare sconti sui debiti che abbiamo con DIO, i nostri debiti sono
i peccati, le cattive abitudini, le false ipocrisie. Possiamo dire a DIO tante cose,
trovare scuse, ma Dio
non rigetterà mai il suo fattore Gesù, è a Gesù che dobbiamo andare a rendere
conto, con Lui dobbiamo vagliare i nostri debiti e vedere quali sono da
saldarsi subito e quali da attendere ancora. Bisogna cambiare il nostro carattere,
essere sinceri con Gesù
e troveremo misericordia presso di Lui egli non ci farà sconti sui debiti, egli
ce li ha condonati interamente, perché li ha pagati per noi.
Se il fattore chiamò i debitori
per garantirsi una sussistenza, il nostro Signore ci invita perché ci ama e
vuole alleggerirci dei nostri fardelli in cambio di niente; ci attende
fiducioso per una pacifica discussione, ma statene certi che non tradirà mai la
volontà di DIO.
6. E il padrone lodò il fattore
infedele perché aveva operato con avvedutezza.
Ecco che il padrone rientra in
scena alla grande, la sua ignoranza non poteva svanire nel nulla, ma doveva
completare il suo mesto ruolo, e non si preoccupò neanche di fare una
figuraccia dinanzi al fattore, poiché ritornava sui suoi passi, l’importante
era essere accettato dal popolo.
Il padrone prima di lodare il
fattore, era stato informato dal pettegolo di turno (creditore abbuonato dal
fattore) dei buoni andamenti degli affari, infatti, lo stesso vedeva che il denaro entrava, i creditori erano
soddisfatti e tutti ringraziavano il padrone con saluti e commiati di lode. Lo
stesso cominciò a lodare, o meglio ringraziare il fattore dell’andamento degli
affari, pesò fra sé, che bene aveva fatto a dargli quella lezione, ed invece
così non era perché il fattore si era già procurato un altro modo di vivere e
presto lo avrebbe lasciato nella sua miseria di padrone gabbato due volte.
Essere avveduti non significa solo
il risultato nelle cose, ma considerare tutto l’andamento fino al risultato
conseguito. Il padrone c’insegna a non avere due facce, e quindi ridicole
dinanzi al prossimo, ma avere un comportamento giusto con chiunque. DIO, non
può prendersi vanto nel vedere un truffaldino, o persone che conseguono
risultati con mezzi ambigui, non darà mai il suo benestare, anche se i suoi
risultati saranno ottimi.
Dinanzi a Dio bisogna presentarsi
semplici ed onesti solo così arricchiremmo il nostro PADRONE (SIGNORE), d’onore
e gloria, bisogna nella vita di ciascuno scindere le due situazioni, quelle del
mondo e quelle di DIO, ben sapendo che la prima porta anche a DIO. Nel mondo si
può essere scaltri, ingegnosi, furbi ecc…ma quando si gira l’angolo, bisogna
abbandonare queste meste qualità ed andare umili, ma con carattere, dinanzi al
Signore. Quindi troviamo il nostro vanto nell’agire con giustizia ed
avvedutezza e troveremo il Signore ad attenderci per festeggiare insieme i
buoni risultati conseguiti.
Ecco che il padrone rientra in
scena ritornando sui suoi passi, infatti dovette lodare il fattore dell’improvviso
buon andamento degli affari. I debitori erano soddisfatti, ringraziavano il
padrone con saluti e commiati di lode, probabilmente promettendo anche un
rapido saldo del debito. Insomma, penso che l’apprezzamento popolare divenne di
altissimo livello per un padrone che dimezzava o diminuiva gli importi dei suoi
crediti senza alcuna motivazione!
7. poiché i figliuoli di questo
secolo, nelle relazioni con que’ della loro generazione, sono più accorti dei
figliuoli della luce.
Nel racconto il Signore si è fatto
di una gran durezza, i discepoli ormai sono atterriti e cercano di conoscere il
nesso fra questi personaggi che si fanno sempre intriganti e complessi.
Gesù con questa frase fulmina i
discepoli li scoraggia volutamente e riferisce che saranno agnelli fra branchi
di lupi. Il mondo non conosce CRISTO GESù, oppure
lo conosce di riflesso, le sue attività molteplici lo collocano su punti
opposti a quelli del Signore. Possiamo scorgere nel nostro quotidiano le varie
attività delle persone del mondo e scorgere con indubbia certezza il loro
allontanamento dai figli di DIO.
Costoro hanno maturato una
concezione della vita più pratica del credente, le loro attività culturali sono
sempre basate sul rasoterra su compromessi terreni e come il fattore infedele
sa escogitare stratagemmi di dubbia fattura per sovvenire a qualunque
necessità.
Certamente noi siamo meno avveduti
di loro, perché ci fidiamo del buon senso in Cristo, perché siamo timorosi e
rispettosi del prossimo, anche in condizioni estreme siamo sempre più lenti di
loro, ma questo non significa che siamo stupidi. Siamo come colombe e talvolta
il nostro essere astuti è un modo ridicolo dinanzi al mondo steso.
Gesù quando parlava di questa
parabola aveva già sperimentato la diversità dal mondo, e quindi cercava di
preparare i discepoli a questa realtà che in ogni caso si sarebbe procrastinata
anche lungo i secoli ad avvenire. La sua presenza era l’incoraggiamento ad una
diversità comportamentale, in altre parole, anche se i credenti erano meno
lesti delle persone del mondo, non dovevano scoraggiarsi, perché al loro fianco
vi erano insegnamenti di una qualità gran lunga di quella proposta dal mondo.
Magari questa diversità non si poteva notare immediatamente, ma i frutti che si
potevano notare a lungo andare erano notevoli.
I discepoli erano attoniti non
riuscivano comprendere questo programma a lungo termine e s’erano ammutoliti
notevolmente.
La parabola del fattore infedele,
indica proprio questo tipo di rapporto, infatti, lo stesso trova prima ostilità
e dopo lauto consenso con i vari creditori con comportamenti non leciti, una
promiscuità di dubbi comportamenti che comunque fanno vivere in serenità queste
persone, e cosa dire poi del padrone a non credere della buona fede del
fattore, prima che questi si arrabbiasse, questi personaggi c’insegnano che i
comportamenti del mondo sono suicidi con i loro stessi inganni, in loro non vi
è la vita ma la morte mascherata in temporanee soddisfazioni.
Noi siamo chiamati ad avere eterne
soddisfazioni a servire il mondo con intelligenza e coerenza comportamentale,
come lo era GESù,
non imitare le conquiste di esso, magari servirle, parteciparvi ma con
l’intelligenza del credente.
Noi non possiamo essere “la guerra
santa” contro il mondo, il nostro comportamento nel mondo dev’essere dimostrare
la nostra diversità e pian piano scalfire il mondo stesso per portarlo a GESù.
La figura di GESù è l’amen
di questo sano comportamento, Lui è l’essenza di una coerenza di sani principi
nel credente, sebbene nel mondo, dobbiamo misurarci col egli stesso, è
necessario sedersi in posizioni diverse per comprenderlo ed amarlo.
8. Ed io vi dico: Fatevi degli amici
con le ricchezze ingiuste; affinché, quand’esse verranno meno, quelli vi
ricevano ne’ tabernacoli eterni.
Il Signore va avanti con questi
discorsi, la sua platea stenta a capire i nessi e le ragioni, ma più tardi lo
stesso lo farà singolarmente, perché Gesù ammaestrava anche le obiezioni dei
suoi negli spazi della giornata.
Ora Gesù impone un certo
comportamento, se prima lo aveva imposto come consiglio, ora lo impone
drasticamente.
Se il mondo sceglie di vivere in
una situazione ingiusta, lasciate che lo stesso si serva come vuole, serviamolo
con i frutti che ha scelto di vivere, noi avremo un altro modo di vivere, e
questo c’interessa.
In altre parole, non dobbiamo
essere la pietra d’inciampo nel mondo, ma la ragione interrogativa nel mondo
degli uomini, dobbiamo far scaturire nelle persone quelle domande che portano a
scoprire GESU’.
Il mondo ha un suo limite, le
continue trasformazioni ci fanno vedere che è sempre alla ricerca di una
ragione di vita, di una logica.
Lo vediamo ogni giorno, una
società che stenta di salire la china, si ritrova sempre al punto di partenza,
con mille drammi in più.
Le persone sembrano come tarli,
ognuno cerca di accampare una ragione personale ad una proposta della società,
non vi è un comune intendere un comune agire, ma vi sono singole posizioni
personali, ci sono tanti “FATTORI” sempre a mercanteggiare a danno del
prossimo.
Noi dobbiamo essere gli spettatori
di questo mesto scenario, combatterli con la preghiera affinché si ravvedano ed
attenderli al nostro fianco con una domanda d’incoraggiamento.
Qualcuno potrebbe obiettare circa
il nostro comportamento con loro, ed invece no, noi svolgiamo il nostro lavoro
in questo tempo e siamo tenuti a servire con diligenza questo tempo, ma non a
comprometterci con lo stesso, il nostro lavoro temporale rimane quello che è in
uno spazio preciso di tempo, i valori della vita invece li cerchiamo fra i credenti,
nell’esempio verso il prossimo, nelle semine giornaliere, senza cercare lo
scontro diretto.
Il nostro merito risiede proprio
in questo di aver servito le situazioni illecite di questo mondo
cristianamente, di aver svolto candidamente i nostri impegni temporali senza
esserci compromessi con lo stesso. Difatti non dobbiamo scendere a compromessi
non dobbiamo essere come il PADRONE, pronto ad avere molte ambiguità, ma essere
sereni e donare quanto di buono possiamo offrire.
Il Signore ci darà la giusta ricompensa
con la vera vita, per questo modo di fare, quindi se saremmo stati avveduti e
non ipocriti, se avremo servito il mondo con i suoi gusti, se non ci saremmo
venduti a lui, e se non ci saremmo mai lusingati per i suoi frutti, potremo
albergare nelle ricchezze eterne, perché il nostro albero maestro è nel SIGNORE
GESU’, la nostra comprensione è in colui che ci sta sempre al nostro fianco è
in colui che risiede la nostra vita d’ogni giorno.
9.
Chi è fedele nelle cose minime, è pur fedele nelle grandi; e chi è
ingiusto nelle cose minime, è pure ingiusto nelle grandi.
Con questo altro versetto, Gesù
mette a posto le due figure, quello del PADRONE e quello del FATTORE.
Il punto determinate è : “ LA
FEDELTA’ ”.
Le cose minime, talvolta sono le
cose che noi portiamo per “scontate ” , nel dire… “tanto si sapeva”, ed invece,
proprio quelle, sono le micce per grandi
esplosioni.
Sono le nostre piccole abitudini,
manie ed altro che durante la nostra vita, pur essendo piccole, diventano vere
e proprie barricate. Lì il credente muore, già perché nell’improvviso gigante
che compare davanti a sé, si trova perso.
Quante volte è successo a me, e
quante volte sono andato di corsa al Signore a chiedere dapprima spiegazioni.
Quali: “Signore, certamente ho sbagliato e nello sbagliare non sentivo la tua
voce, dimmi come posso riparare, e se
questo non ti costa fatica, fallo tu e tienimi al riparo dalle mie
conseguenze.”
Il Signore in questo caso accetta
volentieri il compito, perché c’è un dato nuovo : IL PENTIMENTO, a questo punto
per FEDE bisogna credere che tutto sta andando a posto, anche se poi, il mondo
degli uomini, farà la sua parte , il Signore calmerà la tempesta.
Il sunto di questo, ci porta a non
ignorare le PICCOLE COSE, anche se buone, bisogna stare attenti, affinché il
Signore ci consideri pignoli, pedanti, insomma come bambini pieni di molti
perché! Se sapremo essere fedeli e consapevoli nelle piccole cose e nel
rapportarci al Signore costantemente, lo saremo con grande facilità anche nelle
grandi cose, in quelle cioè, dove ci vuole una FEDE da SANTI, dove bisogna
essere GIGANTI o altro, ma ancora una volta, Lui ci insegna una grande lezione
di Umiltà, L’assoggettamento, sì, il segreto sta proprio in questo, se faremo presente al Signore ogni
situazione, Lui ce la consegnerà col timbro di
“APPROVATO”.
Gli esempi biblici in tal senso
sono tanti, vedi Davide e Golia, il
Faraone ed il popolo d'Israele, ecc..
Tutto qui descritto nella fedeltà,
lo è in modo contrario nelle ingiustizie, solo che in questo caso, i veri e
soli protagonisti, siamo solo noi.
Nella nostra natura di uomini,
siamo veramente terribili, siamo capaci di cose assurde, impensabili , meno
male che prima che il nostro passo giunga sul ciglio del baratro, ecco le mani
forti del Signore che ci afferrano, talvolta
anche in maniera brusca da farci
male ,…ma che ci salva la VITA.
Lì poi, il buon uomo avveduto, deve cercare prima la GRAZIA e poi tutto il
resto; quante volte, autori di brutte situazioni non siamo stati più in grado
di tornare indietro, ma piacevolmente
esserne travolti. In questo scenario senza grazia, bisogna saper dire poi, ad
alta voce … “mi pento, non lo faccio più”, per poter ristabilire un buon
rapporto di ritorno.
Facciamoci quindi carico, dapprima
delle nostre fragilità e poi del nostro coraggio, senza essere presuntuosi, per fare grandi cose per il Signore e per noi
stessi.
SE LA FEDELTA’ E’ DA DIO , IL
CORAGGIO E’ DELL’UOMO.
Conclusione
Vedo con altri occhi, un PECCATO
lontano, un forte odore acre, fatto di abitudini, commiserazioni, rassegnazione
ed una fede poi, stanca e stantia, quasi a voler dire….. “ci pensi qualcun
altro”.
Su questo tema si scontra tutta
l’umanità e cosa appunto importante ed inquietante è che mi accingo a concludere questo libro,
oggi dicembre 2011, in cui tutto il Mondo è stato preso al laccio della NON FEDELTA’ al Signore.
Nel perdere il nostro
protagonismo, anche con Colui che ci vuole stretti a sé , ci siamo smarriti nel
nulla, in una illusione che ci ha fatto prendere il largo nelle nostre
VANITA’ e talvolta in stagni puzzolenti
di abitudini senza vita.
Ancora oggi, e con argomenti che
colpiscono tutti, dobbiamo rinnovare la nostra FEDELTA’ a nostro Signore, con
un concetto e impegno nuovo, senza mai più essere opportunisti con appagamenti
quasi illusori per noi stessi, di una fede che talvolta non c’è più.
Facciamo “PACE” con DIO,
prendiamolo sottobraccio, quasi pizzicandogli la guancia, una smorfia di
compiacimento ci starebbe anche bene, e sono certo che il Signore, condividerà
amorevolmente questo NOSTRO RITORNO.
Io che scrivo queste cose, mi commuovo e torno
fanciullo, in una età quella che non ha mai abbandonato il mio cuore .
Sì è propria questa la forza
dell’uomo, tornare fanciulli, il non
aver mai voluto crescere dinanzi
agli occhi di DIO per stare sempre con lui, anche se poi, ciò che siamo è un
altare spoglio e talvolta ripudiato da noi stessi.
Cerchiamo di essere ciò che
abbiamo nel cuore e nei nostri pensieri, per vedere un Signore molto vicino a noi e anche dentro di
noi, con i nostri stessi occhi e cuore, con le nostre stesse ambizioni, per
camminare fieri e forti con Colui che tutto può, e laddove vi fosse eventualmente qualche ritorno a rancori
passati, beh , avere qualche gesto di pietà, in fondo ciò che avremmo lasciato
è stata la parte peggiore di noi stessi !
BIOGRAFIA DELL’AUTORE
Io, al secolo ALFREDO GIOTTI,
nasco nel lontano 11 maggio 1954 a Giovinazzo, in Via Spirito Santo, nel cuore
del paese vecchio.
Non era l’abitazione di famiglia, ma un’umile casa della mia nonna VINCENZA, umilissima e DEVOTA
di DIO.
Resto in quel paese vecchio per
oltre 40 anni. Papà era Sarto, mamma una semplice casalinga, ma in quella
bottega, eravamo..UNA FORZA.
Cresco da solo nel mio credo ed
anche nella vita, tale solitudine mi coinvolge data l’emigrazione negli USA del
mio papà.
ESTREMISTA CATTOLICO, ma mai
conoscitore della bibbia, durante quegli anni, m’incammino nel RINNOVAMENTO
nello SPIRITO SANTO e successivamente fra i NEOCATECUMENI.
A 40 ANNI il Signore mi chiama nel
MONDO dei CREDENTI EVANGELICI, l’8 agosto 1999 nasco di nuovo .
Sposato con Teresa, anch’essa del
Signore, ho 2 figli : GIANFRANCO e SAMUEL.
Il mio lavoro è Agente di Viaggio,
anche se nel mio cuore c’è stato sempre dell’altro. GRADITO da DIO, la mia vita è stata ed è un
vero combattimento all’ultimo sangue.
Ho molti titoli scolastici, ma il
migliore è quello che mi ha dato DIO in Cristo Gesù..la SUA PAROLA VIVENTE.
Sono cocciuto di natura, ma un
grande amico di tutti sempre leale e pronto alle battaglie, specie quelle
perdenti dinanzi agli uomini, ma vincenti dinanzi a DIO. Desidero essere
ricordato per quello che ho saputo dare agli altri, perdonato per quello che
non ho voluto fare, perché debole.
Vorrei qualcuno che scriva di me :
ALFREDO, L’AMICO di DIO
A
chi legge,offro una cascata di benedizioni certe con questo salmo 91
LA SOLUZIONE E' LA FEDE
Chi dimora nel riparo
dell’Altissimo, riposa all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico all’Eterno:"tu sei
il mio rifugio e la mia fortezza,il mio Dio,in cui confido".
Certo egli ti libererà dal
laccio dell’uccellatore e dalla peste mortifera.
Egli ti ricoprirà con le sue
penne e sotto le sue ali troverai rifugio;la sua fedeltà ti sarà scudo e
corazza.
Tu non temerai lo
spavento notturno, né la freccia che vola di giorno,
ne la peste che vaga nelle
tenebre, ne lo sterminio che imperversa a mezzodì.
Mille cadranno al tuo fianco e
diecimila alla tua destra, ma a te non si accosterà.
Basta che tu osservi con gli
occhi; e vedrai la retribuzione degli empi.
Poiché tu hai detto:"O
Eterno, sei il mio rifugio", e hai fatto dell’Altissimo il tuo
riparo, non ti accadrà alcun male, ne piaga alcuna si accosterà alla tua
tenda.
Poiché egli comanderà hai
suoi Angeli, riguardo a te, di custodirti in tutte le tue vie.
Essi ti porteranno nelle loro
mani, perché il tuo piede non inciampi in alcuna pietra.
Tu camminerai sul leone e
sull’aspide,calpesterai il leoncello e il dragone, poiché egli ha riposto in me
il suo amore io lo libererò e lo leverò in alto al sicuro, perché conosce il
mio nome.
Egli mi invocherà e io gli
risponderò; sarò con lui nell’avversità: lo libererò e lo glorificherò.
Lo sazierò di lunga vita e gli
farò vedere la mia salvezza.
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