CHI SIAMO....

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Missione Evangelica "GRIM" associazione di volontariato la "Missione Evangelica GRIM"si prefigge di: 1.Promuovere la testimonianza dell'Evangelo,per la crescita morale delle persone 2.Sostenere i valori della dignità umana,come integrazione e fratellanza,giustizia e solidarietà 3.Favorire il recupero dell'autostima e della serenità nella vita familiare Panoramica società DENOMINAZIONE: è costituita l'Associazione denominata "missione evangelica GRIM" (acronimo MEG,dove la sigla GRIM sono le iniziali di Grandi Ragazzi In Marcia). ...La "Missione Evangelica GRIM" si propone finalità ad ampio raggio per la riconquista dei valori cristiani, forse dimenticati, quali la comprensione, la solidarietà e l'altruismo nei confronti di persone in condizione di svantaggio ... Presidente: MIRIAM TAMBONE Segreteria: TERESA RANIERI Pastore: VINCENZO FASCIANO

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Libro di Alfredo GIOTTI "4 PASSI COL MAESTRO"


"Quattro passi Col Maestro”


INTRODUZIONE


Scrivere commenti sulla Parola di DIO non è un’impresa facile, anzi, ardua perché ci sono difficoltà interpretative, di linguaggio e di logica, quindi è un compito solo per teologi e grandi studiosi.
Però, ad un certo punto del mio percorso di vita, quando mi sembrava  che qualsiasi analisi dei principi etici, qualunque discorso sulla morale o disquisizione sui valori dell’onestà e altruismo fosse assolutamente un inutile sofisma, ho deciso di mettermi a leggere i discorsi di Gesù, il grande Maestro di vita, non avvalendomi d’alcun riscontro con testi esegetici o riferimenti dottrinali, ma, ispirato solo dallo SPIRITO SANTO.
Mi sono avviato in questo studio solo per trovare delle risposte a me stesso,  per edificarmi e cercare una fortezza a cui sorreggermi ed ho scoperto, così, che nella Bibbia si può trovare un mondo completamente nuovo, fatto di protagonisti unici. Ho iniziato a scrivere una piccola raccolta di meditazioni, fatte da solo, nel silenzio del mio cuore, allo scopo di cercare un dialogo col mio Gesù, per conoscere i suoi amici ed i suoi protagonisti, ed ogni qual volta lo facevo, mi son trovato sempre coinvolto ed in primo piano, come se tutti i discorsi e le metafore di Gesù fossero approntati per educarmi.
Sì, ho provato a fare “Quattro passi col Maestro”, per fare una piacevole chiacchierata con lui, esporgli i miei dubbi e rammarichi e ascoltare i suoi consigli fatti di aneddoti e racconti, non del tutto facili. Lui, che mi conosce bene, sapeva che non poteva licenziarmi solo con un “Coraggio, io sono il tuo Dio!” raccontandomi storielle di scontata interpretazione morale, ed allora è sceso a dialogare con me portandomi esempi che potevo capire solo rispolverando tutte le mie più antiche conoscenze bibliche, letterarie e, addirittura, giuridiche.
Mi sono arricchito, sono diventato meno superficiale e ho capito che niente di quello che il Signore mi ha permesso fino a questo momento è stato inutile, doveva maturarmi e farmi crescere. Ora ho scoperto e ritengo gelosamente la dolcezza di Gesù nel mio cuore come bene prezioso, ma, per quanto ho imparato, non esito a mostrare al prossimo la mia ricchezza interiore in Cristo.
Possa il Signore guidarvi nella lettura e farvi innamorare della sua insistenza, difatti in tutte le parabole si evince un messaggio unico e costante che proviene dal suo cuore: GESU’ TI AMA.
                                                                     Alfredo Giotti






PADRE NOSTRO

LUCA 11:1-4
Commento del fratello ALFREDO



1.    E AVVENNE CHE EGLI SI TROVASSE IN UN CERTO LUOGO A PREGARE.

La preghiera, per GESÙ, era ritrovare l’intensità della sua natura divina nella comunione col Padre, quindi era estremamente importante ed in qualsiasi luogo fosse si appartava per realizzarla. Durante le nostre giornate possiamo dire che la preghiera è sempre sulle nostre labbra e nel nostro cuore,  cioè ha la priorità assoluta tra le nostre attività?  
La preghiera ci avvicina a DIO,  ci mette in comunione con colui che ascolta sempre anche il nostro più piccolo sussurro,  con essa si stende un filo diretto con LUI,  e tutto intorno a noi cambia,  perché siamo noi a cambiare prospettiva nella preghiera.
Molte volte, com’è capitato a GESÙ, siamo “spiati” da quanti non pregano o che non lo fanno per mille ragioni; appena dopo ci dicono: “ Beato te che sai pregare bene”. Bene in quel momento siamo responsabili per lui che quasi si affida a noi per recitare una preghiera e che non sa che può esprimersi con parole sue. Si assiste ad una grande arsura di fede, talvolta il silenzio nelle persone è sinonimo di grande imbarazzo e noi possiamo essere la chiave per rompere questo grande impaccio e avvicinare al SIGNORE un’altra anima.
Una buona preghiera ha bisogno di uno stato d’animo sincero di un abbandono a se stessi in una riservatezza speciale, in questo modo si realizza una perfetta armonia col PADRE. Sperimentiamo nella nostra vita che, se non dovessero esistere questi ingredienti, sarebbe impossibile anche parlarne. Ed allora andiamo al nostro PADRE CELESTE con il cuore di un fanciullo e spieghiamogli come stanno le cose! E’ questo un buon viatico per conoscere poi anche le sue risposte, impariamo da GESÙ che dopo la preghiera diceva: “Grazie PADRE per aver esaudito la mia preghiera”.

2.    INSEGNACI A PREGARE

Nell’umiltà di questo discepolo vediamo che c’è la volontà a superare un ostacolo: insegnaci a pregare. Abbiamo bisogno di questi slanci nella nostra vita da credente, per conoscere la volontà del PADRE; abbiamo bisogno di chiedere sempre, per non sbagliare. Lo stesso PADRE NOSTRO, è uno scambio di benedizioni, di attenzioni, di richieste; è un riconoscimento reciproco nel dare e nell’avere. Nell’amore di DIO c’è questa mano tesa, c’è questa grand’amicizia con i suoi figliuoli e con chi lo cerca.
La potenza della preghiera è superba, giunge fino al cuore di DIO ed instaura una comunione con il credente, un dialogo quindi. In molti passi della BIBBIA è evidenziata la potenza della preghiera, la preghiera può tutto; tutto quello che chiedi nella preghiera abbi fede di averlo ottenuto e ti sarà dato, ecc…Bisogna sperimentare questo veicolo bellissimo che è la preghiera, in tutte le sue forme risulta essere un tonico per il credente, una liberazione mentale dalle tante scorie della realtà.
Di per sé l’uomo non sapeva pregare, sapeva solo farfugliare di tanto in tanto, ma DIO offrì quest’opportunità per giungere fino a LUI.
Quando nella nostra vita l’insegnamento della preghiera è sempre presente, il cuore cambia, ma oltre al PADRE NOSTRO dobbiamo iniziare a pregare con il cuore con la certezza assoluta che NOSTRO PADRE che è nei cieli risponderà alle nostre suppliche.
Anche se a parole nostre, il dialogo con DIO non deve mai cessare, dev’essere continuo e martellante, dobbiamo renderlo partecipe della nostra vita per sperimentare una vera pace e comunione con Lui.

3.    QUANDO PREGATE DITE…

Il Signore non disse ‘diciamo’, ma ‘dite’. Egli pregò per i suoi discepoli dicendo: “Io ti prego ……”[1], in una forma al singolare, e già pregava anche per noi, ma non esitò a donare la SUA preghiera da DIO, ispirata, a chi la chiese.
Se questo è successo per la preghiera eccelsa, può accadere anche con tutte le forme di richiesta. La nostra preghiera è importante per NOSTRO SIGNORE, infatti, egli conosce, prima ancora di chiedere, ciò di cui abbiamo bisogno e ciò che gli stiamo per chiedere.
Un gran ragionamento è inutile, quindi, agli occhi del SIGNORE, perché bisogna pregare col cuore e non solo con la mente. Sappiamo e conosciamo bene la nostra vanità nel voler apparire,  quindi ascoltiamo il cuore ed andiamo ai piedi del SIGNORE. Se molte preghiere stentano ad essere esaudire è proprio per questo motivo, quindi riprendiamole e correggiamole alla luce della nostra umiltà e del nostro cuore, facendo zittire le nostre ragioni mentali.
Il Signore ci mette in guardia di non essere come i pagani, ricchi di molte parole, ma d’essere umili, quindi scendiamo dai nostri piedistalli, dal nostro scetticismo ed andiamo con fiducia ai suoi piedi;  sono sempre luoghi di gran misericordia!

4.    PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI……

Riconosciamo che nostro PADRE CELESTE è nei cieli, ma anche insieme a noi nella figura di CRISTO GESÙ. Davanti alla figura del Padre posso espormi come figlio e come tale stabilire una forte comunione con chi può ogni cosa per il mio bene. La figura del padre coinvolge tutto il mio essere ed il mio esistere, non sono più orfano, ma ho una paternità celeste, posso piacevolmente importunare mio padre quando voglio e come voglio con il veicolo della preghiera, posso abbracciarlo e posso vedere la sua immensità che mi circonda. Se il SIGNORE è luce è attorno a me, Lui mi possiede, io posso solo balbettare: “PADRE mio che sei nei cieli.”
Se recito una preghiera è perché il Signore è con me e quindi realizzo una gran comunione con lui, un tutt’uno. Gesù con Dio aveva un legame ferreo, intimo e, badate bene, quando era fra noi era esposto alle stesse situazioni di come lo siamo anche noi e per Lui non era facile andare da una parte o l’altra con la nomea che si era creato. Una salita controcorrente, ma sempre con la preghiera sulle labbra, quella era la sua forza, e così anche noi dobbiamo risolvere i nostro problemi con la preghiera, stendere quel filo diretto con DIO, ed essere certi che ciò che gli abbiamo chiesto lo darà.
Abbandoniamoci come fanciulli nelle mani di DIO, sperimentiamo la sua paternità e sapremo godere della sua paterna  benedizione. Quando la nostra vita è senza preghiera ci sentiamo schiacciati, orfani in una realtà che ci assale, sperimentiamo allora la preghiera nella nostra vita e troveremo il giusto sentiero per vivere serenamente.

5.    SIA SANTIFICATO IL TUO NOME…

E’ questo il secondo invito alla lode del SIGNORE. Nella nostra vita abbiamo molti santi a cui eleviamo le nostre preoccupazioni, sono questi i soldi, le vanità ecc. e, anche se in forma inconsapevole, releghiamo il nostro SIGNORE quasi alla periferia della nostra vita, ma invece così non dev’essere, perché il SIGNORE pretende l’unicità della sua santificazione. E’ vero che presso di lui ogni cosa è possibile, ma nelle Scritture si legge: “Io sono un DIO GELOSO”, allora eleviamo  solo a LUI la santificazione nel nome esclusivo di CRISTO GESÙ ed apportiamo quella lode che solo a Lui spetta di diritto.
Senza questa santificazione al suo nome, la preghiera del PADRE NOSTRO, risulta essere vana, senza riconoscere questa paternità e questa esclusività si svilisce anche il concetto di PADRE e quindi non passiamo fra la schiera dei credenti ma fra quelli dei …tiepidi. In altre parole, “sia santificato il tuo nome” riconosce al SIGNORE una posizione di grand’esclusività nella nostra vita, considerandolo SANTO e quindi autore della nostra esistenza.
Un punto dolente è il nominarlo spesso anche nei nostri ragionamenti personali, l’unicità del suo nome vuole anche gran riservatezza, un posto speciale quasi intimo, non bisogna nominarlo invano, ma santificarlo nella nostra vita e riconoscerlo come tale nei passi della nostro esistenza. Il cielo può essere dentro di noi ed un cuore rivolto a Lui significa una lode perpetua, una santificazione momento per momento, una celebrazione al suo nome. Il nome del Signore deve riempire la nostra vita deve avere la padronanza di noi stessi; dobbiamo morire in Lui ed essere servitori alla disperata ricerca di un  posto nel suo cuore.
Sia “santificato il tuo nome” vuole essere un monito appeso al nostro collo per ricordarci, nella nostra vita, a considerarlo prima di compiere qualunque dubbia azione. Talvolta ci dimentichiamo di quest’impegno ed allora dobbiamo ricorrere nel nome glorioso di CRISTO GESÙ per chiedere perdono e zittire come bambini dinanzi alla sua presenza, ed essere ripieni della consapevolezza di essere figli dinanzi al PADRE.

6.    VENGA IL TUO REGNO

E’ questa la terza supplica verso DIO, è l’invito più grande che ciascuno può rivolgere a Nostro Signore.
E’ una supplica da tifoso, da vero credente, a mio avviso “venga il tuo regno” è la verifica se un credente è tale oppure no. Se osanniamo la venuta del Suo Regno, vuol dire che non riconosciamo come essenziale il presente e quindi auspichiamo la sua venuta come vitale, essenziale e viviamo alla mercè di questo grande evento.
Significa anche una gran preparazione da parte di ciascuno di noi affinché il regno ci colmi e non ci trovi impreparati per poi passare al vaglio del giudizio di DIO. Ma di che regno stiamo parlando? Oppure di quale regno GESÙ ci parlava?  
Ci parlava del regno delle sue promesse espresse nelle Sacre Scritture, di quel regno rigettato dai nostri progenitori, di quel regno progettato per noi ed annunciato da CRISTO GESÙ. Ed allora passiamo a conoscere tutto di noi attraverso le sacre scritture per poter essere meritevoli del Regno di DIO.
A volte si è superficiali nel recitare: “Venga il tuo Regno!” come se fosse un fatto scontato, quasi ordinario ed invece così non è, perché risulta essere uno sconvolgimento radicale, una verifica del pellegrinaggio terreno, la prova del nove se passeremo ad essere fra la schiera dei figlioli di DIO oppure fra i credenti tiepidi e quindi non meritevoli.
Signore, fa che “Venga il tuo Regno!” sia prima nel mio cuore e che possa viverlo ogni istante della mia vita e che possa abbracciarlo senza reticenza alcuna e senza timore per vivere la vera vita da te promessami.

7.    SIA FATTA LA TUA VOLONTA’, IN TERRA COME IN CIELO

E’  questa la quarta supplica a DIO,  la parte più dura da accettare dall’uomo: “sia fatta la tua volontà.”
Nell’arbitrarietà umana delegare la volontà ad altri ha costituito sempre un grande motivo di ribellione  quasi una rapina verso se stessi e verso il libero arbitrio di ciascuno. Su questo punto è imperniata la fede del cristiano,  un durissimo colpo a ciò che si è ed al risultato che il mondo aspetta da ciascuno di noi. Non  dobbiamo nasconderlo: è il punto più difficile da ingoiare, un rospo duro, per noi che siamo abituati a chiedere e a non ubbidire.
Se la pialla di DIO è la misericordia, il battente dell’uomo è il Padre Nostro, in entrambi i casi vi è uno scambio dei ruoli e promesse da mantenere,  ma solo nel caso di DIO,  la vita ascende alla grandezza. La volontà di Dio sulla terra implica una serena felicità ed un modus vivendi ottimo e sereno,  infatti le Sacre Scritture sono il Codice Civile del credente, il vademecum  dell’uomo per non incorrere in orrori ed errori e poter condurre una vita all’insegna di DIO  e della prosperità.
Se ci voltiamo ed esaminiamo il nostro ieri, ci accorgiamo che molti drammi sono stati cagionati dal nostro modo di vivere e non da quello suggeritoci dal SIGNORE; meglio in quanti casi abbiamo fatto la nostra volontà anziché consultare l’ETERNO. La volontà di DIO per l’uomo,  è una volontà lungimirante,  piena di vita e di abbondanza. Ma quale sarebbe la sua volontà?
In primo luogo ci vuole vedere salvati per poter vivere l’eternità con lui,  poi ci offre i suoi servigi per vivere alla grande e senza ansietà alcuna. Noi combattiamo con il SIGNORE a braccio di ferro, ovvero desideriamo che sia fatta prima la nostra volontà e dopo la sua, questo ce lo permette a causa del benedetto libero arbitrio. Lasciar fare al SIGNORE nella nostra vita vuol dire vincere sempre. Ma le vittorie di DIO sono molto diverse da quelle degli uomini, nel senso che le fa grandiose  mentre noi ci vogliamo accontentare di briciole.
Signore fa che la tua volontà sia suprema nella mia vita e che nulla della mia volontà possa intaccarla!
Il dolore, la felicità, il destino, gli affetti, sono tutti nelle mani del SIGNORE per chi vive in Lui e di certo Egli esaudirà i desideri del suo cuore. Anche nel dolore DIO trova il veicolo per renderci forti e non sconfitti, molte volte bisogna zittire e saper attendere per conoscere la volontà di DIO e non blaterare sempre come noiosi bambini capricciosi. Al signore tutto interessa, solo che vuole essere partecipe della vita quotidiana di ciascuno,  se recitiamo il PADRE NOSTRO lui pretende che ci facciamo da parte e non lo releghiamo in posti o cantucci ammuffiti e trascurati, in questo modo noi non potremo mai sperimentare la sua volontà in terra.
Se non sappiamo valorizzare la sua volontà in terra, non potremo mai capire la sua volontà in cielo o “come in cielo”,  dove Lui ha il dominio assoluto. In questa preghiera,  si presume che abbiamo il modo di modificare la lode al SIGNORE sulla terra e renderla uguale a quella resa , ora, nel cielo, ma anche di variare la nostra volontà il nostro “dire la mia” conformemente al luogo dove mi trovo e al modo di capire, e attendere la volontà di Dio “anche in terra”.
Dobbiamo smetterla di farci rincorrere da Dio, il SIGNORE ci ama di un grande amore ed io non posso restare ignaro a questo grande sentimento che mi manifesta attraverso CRISTO GESÙ, non posso non dire AMEN  a ciò che proviene da lui, non posso restare indifferente ad un nuovo giorno che nasce ed a tutto il creato che si muove attorno a me, non posso rimanere indifferente a chi mi promette protezione e vita in abbondanza.
Grazie, Signore,  che  mi hai inculcato la tua volontà e hai fatto un atto di pirateria nel pretendere la tua volontà, perché io non sarei stato  mai capace di concepire il bene di me stesso come tu lo intendi e se me lo hai dato in terra, lo potrò godere anche nel CIELO  e lì sperimenterò la tua volontà e ti servirò per sempre!

8.    DACCI OGGI IL NOSTRO PANE NECESSARIO

E’ questa la prima risposta da parte di DIO ovvero la prima promessa  di interessamento nel PADRE NOSTRO. Noi sperimentiamo un PADRE grandioso e sappiamo che nulla è impossibile a LUI. Questa frase è la conseguenza della sua volontà sulla terra come in cielo,  perché se avrò fatto la sua volontà il cibo mi verrà comunque corrisposto da DIO,  come ed in che modo non ha importanza queste sono domande degli uomini,  ma per certo lui provvederà.
Non bisogna solo pensare al cibo come pane quotidiano,  ma anche tutto il necessario che a noi interessa: dacci la pace, dacci la gioia, dacci le buone capacità, il giusto discernimento, la pazienza ecc….
E’ curioso notare che il SIGNORE indica solo il necessario, ciò che serve nella vita di un giorno.
In molti punti della BIBBIA viene sempre presentata la vita del giorno, il futuro, il domani non è nel vocabolario di DIO, perché questi sono frutti di ciò che potremo avere, appunto, durante la vita dei giorni che vivremo.
E’ un vincere premi o perderli. Bene, ci parla il re Ezechia[2],  quando chiese al SIGNORE di vivere ancora ciò gli fu concesso. Possiamo fare anche noi di simili richieste? SI’, certamente ma solo se vivremo alla luce di CRISTO,  nel necessario noi sperimenteremo una grande forza quella della FEDE e la stessa ci farà fare cose grandiose ed in grande umiltà.
Non sogniamoci mai di corredare il futuro con i nostri sogni,  le nostre parole e le nostre forze, sarà come aver costruito un castello di fumo nella palude del vento. Bene, diceva GIOBBE: “il Signore dà e il Signore toglie”.
Sono certo che tutte le volte che il SIGNORE ha tolto, mi ha sempre potato fino al punto giusto, mi ha alleggerito di fardelli inutili, e al momento non ho potuto comprenderne il motivo. Dio dev’essere sperimentato nel quotidiano, non lasciamo che le nostre pagine di vita siano delle pagine in parte scritte ed in parte bianche. Sperimentiamo come il Signore non dimentica i suoi impegni se lo chiediamo con certezza ed amore, senza pretese arroganti. In questo modo vedremo che la vita cambierà rotta ed il pane quotidiano sarà solo una piccola briciola delle benedizioni che ci inonderà.
Si poteva scrivere all’infinito solo del verbo DARE ma voglio lasciare al mio cuore tutte le suppliche  ed aspettare il domani di DIO che certamente mi porterà le sue benedizioni colme di gioia.

9.    E PERDONACI I NOSTRI DEBITI…..

Bene sarebbe se fossero stati solo in denaro, ma i debiti del SIGNORE sono intesi quali infrazioni verso le sue leggi e verso il nostro prossimo.
Purtroppo sperimentiamo che, nella nostra vita, abbiamo un grande corollario di nemici, di nostalgiche vendette ed altro ancora, quelli sono tutti debiti, mancato amore verso il prossimo e mancata applicazione del PADRE NOSTRO nella nostra vita.
Corriamo al Signore affinché ci perdoni, ma quando questo può accadere? Certamente ogni volta che lo si chiede con un animo contrito e che non si ritorni a peccare nello stesso modo, diversamente quel debito ci resterà incollato malgrado la nostra fede da baraccone.
Solo DIO può perdonare e se perdona può anche sanare,  ristabilire e rimettere in piedi chi è caduto,  quindi nella supplica che facciamo c’è anche implicita una riposta positiva, quella del perdono e di un ristabilimento nei rapporti di DIO.
Un debito grande da farci perdonare è quello dell’orgoglio, una ferita infame che sanguina sempre, il nostro ego altezzoso e furibondo, il nostro modo di primeggiare ad ogni costo per piazzare la nostra bandiera di grandi,  ma tutto sommato questo tipo  di debito ci spezza a metà quando andiamo dinanzi a DIO  “…..chiuditi nella tua stanzetta e dimmi…”.
Durante la vita di un giorno accumuliamo migliaia di debiti verso DIO talvolta anche con le mani giunte,  pertanto andiamo al SIGNORE prima a confessare i nostri debiti, in silenzio e senza blaterare nulla, e dopo chiediamo con umiltà e decoro il suo perdono.
Ci sono dei peccati che sono invisibili ovvero nostalgici, quelli abitudinari che fanno parte di noi; quelli sono i pesi attaccati al nostro collo.
Come individuarli? facile sono quelli che gli altri ci individuano come “…è fatto così, ma in fondo è un bravo ragazzo”.
Noi deleghiamo al SIGNORE di perdonare le nostre colpe,  ma questo non significa che “ subito” lo farà, i tempi di DIO sono importanti fanno crescere ci fanno scoprire cose di noi che ignoravamo prima, ci mettono sulla buona strada e quando ci voltiamo indietro scopriamo che nell’allenamento della vita terrena il SIGNORE ci ha risposto con i suoi tempi. Pertanto il perdono è strettamente di DIO e non  possiamo fare altro che chiederlo e basta, senza nulla pretendere,  perché nulla è scontato dinanzi a DIO.
Il tributo del dedito è la morte, l’umiliazione di sé. Sovente quella è una strada che quando la si percorre si scoprono le impronte di quando l’abbiamo ripercorsa allegramente con il peccato che sorrideva.
Voglia il SIGNORE perdonarci tutte le volte che andiamo in ginocchio dinanzi a Lui, voglia, lo stesso, avere pietà e compassione del nostro libero arbitrio,  voglia il SIGNORE perdonarci di tutte le volte che di proposito siamo stati CIECHI SORDI E MUTI  ed infine possa la sua pietà coprirci,  per sperimentare nella nostra stanchezza il vigore di un PADRE giusto e misericordioso, quale DIO IN  CRISTO GESÙ.

10. COME ANCHE NOI PERDONIAMO AI NOSTRI DEBITORI

Prerogativa del perdono, è perdonare il nostro prossimo.
Nostro signore nella sua singolarità ha lasciato che l’istituto del perdono fosse relegato nelle mani di chi lo chiede. Un colpo durissimo per la nostra richiesta, quasi si può dire che siamo stati colpiti a morte.
Molte volte non ci rendiamo conto che il perdono è nel perdono ovvero nella capacità di perdonare il nostro prossimo anche se questo è palesemente ostile nei nostri confronti.
Ed allora come si fa ad aggirare l’ostacolo? Abbiamo detto che il SINORE GESÙ già la conosceva la preghiera del PADRE nostro, ma i nostri progenitori ignoravano cosa gli sarebbe capitato. Oggi noi sappiamo che andando attraverso GESÙ possiamo avere una certezza in più di un suo conforto ed aiuto. Certamente siamo più fortunati di ieri, avendo l’unico mediatore fra DIO e gli uomini CRISTO GESÙ.
Al nostro prossimo dobbiamo perdonare tutto, chinare il capo e presentare il tutto a DIO, lui che vede ogni cosa sistemerà la faccenda e noi ci ritroveremo più leggeri ad affrontare il problema stesso. Noi, abbiamo l’obbligo di perdonare tutto al nostro prossimo altrimenti saremmo al punto di partenza e scopriremmo un DIO sordo e muto e invano attenderemmo una risposta da parte sua.
A volte scopriamo che in questa circostanza abbiamo una fede quasi ridotta allo zero e desidereremmo fuggire da questo nostro impegno, ma non è così, se non saremo in grado di fare ciò la nostra FEDE sarà solo e soltanto frutto della nostra fantasia.
Avviciniamoci a DIO e chiediamo la forza del perdono, dell’umiltà per poter rinforzare la nostra FEDE e camminare con DIO come un vecchio e caro amico sincero.

11. E NON ESPORCI ALLA TENTAZIONE

Quando mio figlio aveva pressappoco un anno, a tratti lo lasciavo per vedere se era in grado di muovere qualche passo da solo, spesso, però cadeva, con questo non significava che non gli volevo del bene, anzi ne volevo di più.
Così ed allo stesso modo il Signore fa con noi!
La tentazione è il frutto delle nostre brutte abitudini di quei modi di fare e di agire che non sono conformi alle leggi di DIO. Dio, non è un tentatore, se la conseguenza del peccato è la morte vale a dire l’allontanamento dalla grazia di DIO, saremo le vittime di noi stessi e del nostro ego.
Non esporci alle tentazioni, quindi, significa, non ci abbandonare, ma rimani SIGNORE sempre con noi, quando t’invochiamo e cerchiamo disperatamente il tuo soccorso.  Nostro Signore non può essere un tentatore né tanto meno ha piacere di vederci in preda a problemi, ma questa è una condizione prettamente nostra con cui dobbiamo chiedere perdono e soccorso a DIO.
E’ impossibile non essere esposti alle tentazioni, ironia della sorte vuole che siano proprio queste circostanze a misurare il livello della fede che abbiamo. Dice un vecchio missionario di chiesa,: “se non incontri un muro non saprai mai come scavalcarlo”, significa che, se non incontriamo delle difficoltà, non potremo mai sperimentare l’amore di DIO e la nostra fede. Durante la nostra vita ci dobbiamo allenare per riconoscere le tentazioni e scavalcarle, se questo non lo facciamo ci troveremo un carattere burbero e negativo. Non tutte le tentazioni o le fragilità della persona possono essere riconosciute,  ma nel confronto con il prossimo troveremo lo specchio ideale per conoscere meglio noi stessi e non solo i meritati e cercati complimenti che desideriamo ascoltare.
Cerchiamo di fare la nostra strada con GESÙ di modo che, anche se troveremo delle buche, avremo a chi appoggiarci e non cadere, guardiamo in noi stessi con occhio critico e sapremo sopportare le piccole magagne del prossimo che c’inquietano.
Infine non ci esporre alla tentazione è la possibilità con cui DIO, nell’offrirci il libero arbitrio, ci ha voluto anche addossarci delle giuste responsabilità personali.

12.  MA LIBERACI DAL MALIGNO

E’ l’ultima supplica dell’uomo a DIO, la più importante anche perchè riguarda una battaglia spirituale a cui l’uomo da sé non può fare nulla. Attorno ad ogni uomo ci sono durissime battaglie fra gli angeli ed i demoni, ma spetta a noi decidere il lato positivo o negativo in cui stare.
Il Signore ci libera sempre dal maligno anche quando siamo indifferenti perché siamo preziosi ai suoi occhi, ma talvolta non riusciamo a vedere i suoi meriti e il nostro io piuttosto prevarica il suo lavoro silente e quindi primeggiamo nella miseria di noi stessi.
Dio ha vinto il mondo e lo ha vinto definitivamente in CRISTO GESÙ questa è la risposta definitiva al maligno che in questi ultimi tempi sta furoreggiando fra le debolezze umane. Se non ci fosse stata la misericordia di DIO saremmo stati da sempre cenere per le piante e non avremmo potuto scegliere il bene talvolta adombrata da tanto male.
La liberazione ci porta a sperimentare una condizione di piacere di benessere, ma quando questo lo possiamo dire? Magari in seguito ad una battaglia vinta nella vita, ma dobbiamo anche festeggiare quando stiamo lungo la via della liberazione, ovvero durante quelle battaglie in cui ci vuole molta pazienza.
Abbiamo una gran varietà di catene nella nostra vita, talvolta visibili e talvolta no, gente da sopportare, persone che non amiamo, sorrisi dovuti e pesanti o meglio non sinceri, esperienze faticose. Il Signore sta proprio per alleggerirci da questi fardelli, per spezzare queste catene e rendere la nostra vita gradevole e lineare.
Quindi consideriamo la richiesta del “liberaci” come un momento per iniziare a cambiare e vedremo presto l’opera del SIGNORE nella nostra vita.
Cosa dire poi a riguardo del maligno. Questa è la sola affermazione che ci rincuora e ci riassicura definitivamente: “ E’ STATO VINTO PER SEMPRE DA CRISTO GESÙ “ e noi per suo tramite siamo anche vincitori.
Pertanto, cerchiamo di prestare il fianco al SIGNORE e troveremo la nostra vita in un prato dove abbondano i fiori delle nostre speranze.

13.  AMEN

Tutte le preghiere terminano con AMEN. Se solo sapessimo considerare questo termine latino, che significa   “COSI’ SIA”, considereremmo la certezza di tutte le preghiere.
AMEN è il suggello a tutte le richieste , è il via libera all’esaudimento delle preghiere stesse , è un girare pagina ai nostri problemi, AMEN significa la pace , la serenità.
Nella croce di DAVIDE si notano due triangoli , il primo con il vertice a DIO  l’altro con il vertice all’uomo entrambi  creano la stella di Davide , ma e’ anche la stella del PADRE NOSTRO il suo simbolo intrinseco e speciale.
Portiamolo sempre nel nostro cuore e cerchiamo di mettere in soffitta le vecchie abitudini dove l’amen non c’e’ mai.
Possa il Signore guardare le preghiere di tutti e porre il suo AMEN nella figura di CRISTO GESÙ in tutte le nostre preghiere.
Ringrazio di cuore lo Spirito SANTO che mi ha guidato alla stesura di questo piccolo commento del PADRE NOSTRO affinché tutto salga a lode e gloria del suo santissimo nome.
AMEN




IL BUON SAMARITANO

LUCA 10: 25
Commento del fratello ALFREDO


1.     Ed ecco, un certo dottore della legge si levò per metterlo alla prova, e gli disse: Maestro, che dovrò fare per ereditar la vita eterna?

Molte volte si dà per scontato che i saggi dei nostri giorni sappiano tutto e ci rapportiamo a loro con gran devozione per attendere quelle risposte “che sanano il nostro vivere quotidiano”, senza sapere, poi, che il loro scetticismo può essere deriso da GESÙ, il quale con molta semplicità li sa riportare alle loro origini mentali.
“Dottore della legge”, sarebbe stato meglio “ignorante della legge”, perché nella vanità di sapere tutto si cerca disperatamente di far prevalere le proprie opinioni cercando di scavalcare quelle di DIO, e qui poi le magre figuracce. Ma DIO si avvale, nella sua misericordia, di queste vanità umane per ricondurre i tanti ed i dotti sulla via dell’umiltà e della ragione, strade che non vogliamo facilmente percorrere, data la nostra reticenza a volerci separare da quelle zavorre umane che appesantiscono la nostra vita, ma con le quali, in ogni modo, stiamo comodi.
Questo uomo si levò, immaginiamolo, col dito puntato e atteggiamento altero, convinto che la sua domanda non poteva avere risposta; immaginiamolo con un sogghigno sulle labbra ed un atteggiamento di sfida, perché lui, il dottore della legge, era appunto il massimo del sapere divino. Immaginiamo poi GESÙ calmo e col capo chino, un atto implicito di pietà verso l’arroganza del sapere, con addosso gli occhi di tutti i presenti ed il mormorio degli altri dottori della legge.
Bisogna riconoscere, però, che il dottore della legge si rivolse a GESÙ chiamandolo MAESTRO e ciò significa che aveva ricevuto dei sentori circa la saggezza del nostro GESÙ e che i suoi discorsi gli avevano colpito il cuore, più che la mente. Un gesto di rispetto proprio da parte di chi, forse, non avrebbe voluto riconoscerlo come tale.
Inoltre, parla al singolare e non al plurale: “che dovrò fare per ereditare…”. Sembra convinto che, essendo rispetto agli altri il massimo dell’intelligenza, era il solo ad avere dei diritti e non avrebbe potuto ricevere una risposta degna del suo rango. Un gesto di perfetta di sfida, con la consapevolezza di poter deridere il SIGNORE. Infatti, la domanda proposta era abbastanza importante e il dottore, sapendo bene le leggi giudaiche, sfidava il Signore credendo che sarebbe sceso  a dibattere polemicamente sul suo terreno antico, invece il Signore gli rigirò la domanda, come per dire: “cerca di riflettere e non essere ipocrita”.
Ora al posto del dottore della legge cerchiamo di inserirci noi e consideriamo quante volte ci siamo sentiti edotti di questo o quell’argomento tanto da non voler più ascoltare opinioni diverse, quante volte abbiamo alzato la voce su argomenti di cui ci sentivamo forti e decisi. Quale è stata la risposta di GESÙ nella nostra vita, solo il suo silenzio, proprio come per il dottore della legge.

2.    Ed egli gli disse: Nella legge che sta scritto? Come leggi?

Nostro Signore non inaugura un nuovo ragionamento sulla salvezza, ma riporta il suo interlocutore a ricordarsi di quelle stesse leggi che lo hanno reso dottore. Il Signore, che è venuto a confermare tutto ciò che è stato scritto nell’Antico Testamento,  gli chiede un ripasso delle leggi. La scaltrezza di Gesù è notevole, riesce in due mosse ad invertire i ruoli, da essere inquisito, inquisisce, e lo stesso dottore della legge si ritrova a balbettare il suo sapere, come un bambino ai primi giorni di scuola.
Molte volte desideriamo una nuova medicina per i nostri problemi, senza considerare, invece, che le risposte le abbiamo sempre avute a portata di mano ma che per una pigrizia mentale le abbiamo considerate antiche e sorpassate. Bene, il Signore ci riporta a considerarle e alla luce della SUA presenza ci dice che quelle leggi sono veritiere come lo è Lui e che nulla deve essere lasciato nell’abbandono del nostro tempo.
Altro argomento inquietante è l’interpretazione delle scritture o meglio il saper leggere. Talvolta si legge per abitudine senza capire nulla, giusto una perdita di tempo, e qui il Signore, con uno scappellotto, ci dice: “Come leggi?”
Certamente il rossore di costui, come sarebbe anche il nostro, era visibile sul suo viso, eppure quando si è certi della logica semplice ci si può permettere di parlare così.

2. E colui, rispondendo, disse: Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso.

Il dottore della legge non poteva fare una brutta figura, quantomeno doveva ridurre al minimo il suo imbarazzo ed ecco che enunciò il comandamento di DIO in forma impeccabile, ma con un tremore nella voce perché consapevole che rispondeva a GESÙ, il Maestro. Nessuno osò commentare tale espressione.
E’ curioso come molte volte nella nostra vita pur conoscendo i precetti di DIO siamo altrettanto indifferenti alle sue prescrizioni, ci comportiamo come il dottore della legge che ben sapeva, ma che nulla temeva. L’importante era salvare le apparenze.
Bene, in quella circostanza le salvò, infatti fece bella mostra di sé e tutti stavano ad ascoltarlo, anche GESÙ stava ad ascoltarlo e fu compiaciuto della sua preparazione.

3. E Gesù gli disse: Tu hai risposto rettamente; fa  questo, e vivrai.

Il dottore della legge temeva di essere ammonito da Gesù, o quantomeno si aspettava qualcosa di contorto, invece il Signore si congratulò con lo stesso, ed aggiunse: “e vivrai”.
Cosa significherà questo “vivrai” ?
Quante volte Gesù lo ha detto per la nostra vita e talvolta non l’abbiamo ascoltato per mille motivi personali; quante volte siamo morti a noi stessi nelle umiliazioni e sofferenze ed abbiamo reagito diversamente?
Il “vivrai” di DIO è l’augurio, per noi, a cambiare rotta nella nostra vita, a trasformarla, a conoscere la vera vita alla luce dei suoi statuti. Vivere è difficile, lo è per le difficoltà dell’uomo, per i suoi compromessi con il mondo, per la diversità del nostro prossimo.
Vivere, quindi, significa rinuncia a tante abitudini e pertanto è doloroso. Sono convinto che l’uomo non conosce la vita, perché conosce a sprazzi gli inviti di GESÙ ed i suoi insegnamenti.

4. Ma colui, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo?

Quante volte è accaduto anche a noi di volerci giustificare per la mancata conoscenza, e ciò che pronunciamo è come dire:  “questo so e basta!” Il dottore della legge pensava che il suo sapere fosse sufficiente al ruolo che copriva e che gli insegnamenti che conosceva fossero solo semplici fatterelli.
Gesù sempre calmo e tagliente, nel rispondere, lo portò a considerare ciò che stava all’esterno di sé, a considerare il prossimo, la gente che era a fianco, quelli che avevano bisogno di una parola di sollievo: il prossimo. Era stato proprio lui a pronunciare la verità più pesante, (ama) “il prossimo come te stesso”, che ha il significato di una mannaia nella sfera personale.
Noi che siamo abituati a collocarci in ambienti bellissimi e a far stare il nostro prossimo fuori la porta, ora dobbiamo spalancare il nostro cuore a tutti. Un colpo durissimo, ma se non procuriamo amore verso il nostro prossimo, potremo amare DIO[3]? Scendere dunque nel campo di battaglia quotidiano significa amare il prossimo per ereditare il PARADISO.
Sebbene il dottore della legge era sempre circondato dal suo prossimo, non riusciva a vederlo, perché, forse, vedeva la sua carriera che a lui interessava. Quindi, chiedere a GESÙ “chi è il mio prossimo”, era demolire per sempre l’autostima che aveva fin a quell’istante.
Vediamo come, in circostanze simili, parlando a noi stessi, riusciamo a metterci in discussione, cioè riusciamo a demolire la presunzione e a far apparire la parte migliore di noi. Facciamoci spesso delle domande e cerchiamo di rispondere come se fossimo estranei a noi stessi, scopriremo un’altra dimensione di noi che ignoravamo prima.
Nostro Signore quando vede la nostra cocciutaggine o la nostra ostinazione, è costretto a raccontarci dei fatterelli…parabole ed altro. Torniamo, così, ad essere bambini fra le braccia di GESÙ con la speranza che ciò che ci racconta faccia breccia nella nostra mente e nel nostro cuore.
Il dottore della legge ridotto ormai alle pezze da GESÙ fu costretto ad ascoltarlo. La domanda che aveva posto al Maestro gli aveva procurato l’umiliazione di ascoltarlo, lo riconduce a questo e, sebbene sia orgoglioso, dobbiamo apprezzare che non corre via, ma rimane. Vuoi per curiosità, vuoi per non perdere la faccia dinanzi al pubblico, rimane e così il buon GESÙ può raccontare la PAROBOLA .
Quante volte siano stati peggio del dottore della legge, quante volte abbiamo stordito il nostro prossimo con i nostri ragionamenti insensati e siamo andati via quando Gesù ci voleva parlare, quante volte non ci siamo voluti umiliare ad ascoltare!

5. La parabola

1.    Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté in ladroni i quali, spogliatolo e feritolo, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto.

Non sappiamo per quale motivo quest’uomo stava scendendo da Gerusalemme fino a Gerico, sappiamo però che la strada era tortuosa e ripida, una discesa di 27 chilometri tutta fatta di curve. Un uomo che andava per i fatti suoi certo di giungere fino a quella città, sicuramente andava con un passo svelto e sereno nel cuore.
Improvvisamente accadde una “ sorpresa”, un grande spavento: piombarono dei ladroni e il pover’uomo solo cercò di difendersi, ma fu sopraffatto. I ladroni, spogliatolo di quel poco che aveva, lo percossero duramente, forse a causa del magro bottino. Il pover’uomo rimase per terra consapevole del suo dramma e si affidò alla misericordia di qualche atteggiamento pietoso del prossimo.
Ricordo da giovanotto l’allegra discesa della mia vita, i tanti progetti che facevo senza considerare gli imprevisti. Ero noncurante di nessuno facevo programmi per me, per il mio futuro per i miei genitori e tutto era lecito e sicuro, fino a quando, un bel giorno, i ladroni, cioè gli imprevisti, fecero capolino improvvisamente nella mia vita e rimasi, appunto, mezzo morto ad attendere un gesto di pietà da parte del prossimo.
I tempi per potersi rialzare non sono sempre rapidi, infatti, io impiegai circa 25 anni per riprendermi. Questi anni sono stati decisivi, sono cresciuto, ho capito la mia vita, ho visto il SIGNORE della mia vita e quando la sofferenza si è calmata, ho visto GESÙ che mi offriva la sua mano per rialzarmi.
Bisogna stare attenti alle discese della vita, essere cauti anche quando si è certi delle proprie risorse e saper guardare più a lungo del previsto, e qui si erige la figura maestra del nostro SIGNORE a cui sempre dobbiamo affidare i nostri percorsi ed i nostri progetti per non trovarci impreparati negli imprevisti.
Un altro elemento da considerare è quello della “ sorpresa”, infatti, quell’uomo fu sorpreso, non dobbiamo assolutamente essere sorpresi nella vita, bisogna saper guardare con certezza fin dove si può e dopo affidare al SIGNORE il resto.
Nella nostra vita avremo sempre dei “ ladroni “ violenti o meno, ma li avremo sempre, cerchiamo di interpellare GESÙ e facciamolo nostro compagno di viaggio, certamente le discese saranno più allegre e scambiare qualche chiacchiera in due sarà meno noioso di scendere da soli.

2.    Or, per caso, un sacerdote scendeva per quella stessa via; e veduto colui, passò oltre dal lato opposto.
L’altra figura inquietante e ancor peggio dei ladroni è quella del “sacerdote”. Lui, che doveva essere il preposto al soccorso, in vista di quell’uomo ecco che passa dall’altra parte della strada. Forse si spaventò nel vederlo per terra e pensò fra sé: “E’ meglio darsela a gambe prima che capiti anche a me la stessa sorte.”
Di sicuro l’uomo percosso lo vide correre via e la sofferenza fu più grave di prima. Secondo me l’atteggiamento più inquietante è il passare dal lato opposto della strada. Di proposito si vuole evitare il contatto, manca l’altruismo, manca un buon cuore, mancano tutte quelle qualità che rendono l’uomo intelligente e capace, diciamo che quel sacerdote era come uno dei nostri tempi, con lo sguardo fisso in avanti.
Sicuramente la sua coscienza lo rimproverò e dubito che in seguito abbia trascorso una buona relazione con se stesso, se è stato capace di tanta codardia, sicuramente non poteva fidarsi neanche di se stesso.
Riflettiamo su due situazioni:
1°) Mentre l’uomo scendeva, il sacerdote per caso faceva quella via.
S’intuisce, come detto prima, che mentre l’uomo aveva una certa fretta, il sacerdote se la dava con più calma, ovvero aveva tutto il tempo davanti a sé. I suoi impegni a Gerico dovevano essere solo fatti ordinari, tanto lui era in ogni modo pagato dal Sinadrio.
2°) perché GESÙ fa scendere un sacerdote, non poteva indicare un altro uomo?
La simbologia di nostro SIGNORE è importante, ci fa capire che anche i preposti per la legge di DIO possono essere ipocriti e senza DIO. Non bisogna soffermarsi solo alle apparenze, ma bisogna guardare anche alle azioni che si compiono; questo sacerdote era un ipocrita solo uno scaldabanchi, poiché nulla sapeva fare nella vita. Peggio dei ladroni, guardiamoci da tali persone.
La parola di DIO verace e viva non ha bisogno di simbolismi e investiture speciali, la si può incontrare in chiunque faccia la sua volontà e non solo in coloro che, pur indossando stinte gramaglie, nulla conoscono della legge del SIGNORE.
Il credente non passa sul lato opposto rimane lungo la via, perché tutto ciò che è prossimo a lui gli interessa, quindi diciamo al nostro SIGNORE:
GESÙ se fossi passato io su quella via l’avrei soccorso e sarei stato con lui, come tu sei sempre con me.

3.    Così pure un levita, giunto a quel luogo e vedutolo, passò oltre dal lato opposto.

Altra figura inquietante è quella del levita, stesso comportamento stesso modo di fare, stessi impegni del sacerdote, stesso lavoro più o meno.
Ma perché GESÙ fa scendere anche il levita?
Intuisco che il SIGNORE s’ispirò alla figura del dottore della legge. Giacché egli insegnava nel tempio dove officiava il sacerdote, gli volle dimostrare che se si fosse trovato anch’egli in quella circostanza avrebbe fatto allo stesso modo. Difatti durante il racconto non si legge che GESÙ fu interrotto dal dottore della legge, ma poté proseguire indisturbatamente.
GESÙ calca la mano su queste figure perché in quel tempo queste figure erano “ gli assalitori del popolo” in pratica avevano il potere di vita e di morte su chiunque.
GESÙ era venuto per sistemare le cose; a non predicare più l’egoismo, ma il coraggio; a non essere di molte parole, ma essenziali anche nei comportamenti e a non fidarsi delle apparenze, ma solo di DIO.
Si potrebbe scrivere ancora circa gli usi, ma sarebbero sempre supposizioni, ciò che ho scritto qui invece è ciò che DIO cercava dagli uomini e ciò che in quel momento gli stava trasmettendo.

4.    Ma un Samaritano che era in viaggio giunse presso a lui; e vedutolo, n’ebbe pietà;

Terza figura è quella di un samaritano, una figura inferiore, priva di considerazione, data la posizione sociale e storica fra ebrei e samaritani tra cui non scorreva buon sangue.
Quest’uomo era in viaggio verso Gerico con le sue cose, sopra un asino o un mulo, stava quasi al centro della strada, e dato che era un commerciante aveva molto a cui pensare. Vede qualcosa, s’avvicina e si rende conto dell’accaduto, non si chiede se l’uomo per terra fosse come lui samaritano, ma si appresta a curargli le ferite. Olio, vino e quanto di meglio per un modesto pronto soccorso. Si scambiano delle parole, ma il samaritano lo esorta a stare calmo e continua a curarlo, certamente non lo abbandonerà e questo rincuorava l’uomo percosso.
L’intelligenza di nostro SIGNORE è straordinaria, racconta quest’episodio al dottore della legge, per far capire chi è il suo prossimo, ma costui non lo ha ancora compreso perciò il Signore va avanti nei dettagli per meglio mostrargli il ventaglio delle azioni da proporre al prossimo.
Vorremmo anche noi avere un samaritano nella vita, in quelle cadute dove a stento si riesce a parlare, facciamo nostro soccorritore GESÙ e scopriremo il SAMARITANO per eccellenza, e quando vedremo passare dall’altra sponda della strada gli pseudo cristiani non rattristiamoci perchè loro non si rialzeranno mai più dal loro egoismo.
Costruiamo il nostro prossimo nella figura elegante e disinvolta di GESÙ e vivremo serenamente con un grande amico al nostro fianco.

5.    E accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra dell’olio e del vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo menò ad un albergo e si prese cura di lui.

Il samaritano impiegò un bel po’ di tempo, doveva innanzitutto rincuorare lo sventurato e dopo  curarlo. Olio e vino sulle ferite per calmare il dolore e disinfettarle e poi una fasciatura.
L’altruismo del samaritano ben costruito da GESÙ dimostra che ognuno è prossimo dell’altro e che il samaritano benché uomo impegnato non esitò a fermarsi e prestare soccorso, ma, cosa esenziale, è che mise in pratica i comandamenti di DIO, diversamente dal dottore della legge che conosceva solo le leggi e le prescrizioni mentre ignorava la loro applicazione.
Il samaritano pertanto coricò il ferito sull’asino fino a raggiungere un albergo e riprese a prendersi cura di lui.
Bello questo passaggio, notiamo che il samaritano non lo consegnò ad altri e basta, ma riprese le sue cure verso quest’uomo fino a quando fu capace di tornare in sé.
GESÙ c’insegna con questo passaggio che dobbiamo avere cura del nostro prossimo in azioni, preghiere ed altro fino al conseguimento della conversione e di non limitarci al solo soccorso del momento, così facendo saremmo uguale al dottore della legge. Mettere al sicuro il nostro prossimo vuol dire dargli sicurezza delle nostre cure del nostro impegno mostrargli che non lo lasceremo, infatti il samaritano lo porta fino ad un albergo, avrebbe potuto lasciarlo in terra pur avendolo curato, no, spontaneamente lo mette al sicuro.
Ci sono persone che già nel proprio cuore vivono i precetti cristiani, mentre altri si limitano solo a conoscerli e basta.
Possa il SIGNORE farci abbondare di queste meravigliose figure o quantomeno darci coraggio di essere come loro senza mai pretendere il plauso del mondo. In questi tempi conosciamo bene le tante persone che sono abbandonate e specialmente ignorate da tutti, non così saremo  degni eredi del REGNO DI DIO, ma lo guarderemo solo da lontano o meglio lo guarderemo passando dall’altra sponda.

6.    E il giorno dopo, tratti fuori due denari, li diede all’oste e gli disse: Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, quando tornerò in su, te lo renderò.

  Notiamo che il samaritano rimase con lui tutto il giorno e la notte successiva per essere certo delle condizioni dell’uomo. Non esitò a rimandare i suoi impegni, comprese che quell’impegno era più grande di qualunque altro.
Dopo che si fu riposato ecco che il samaritano prolunga la sua azione generosamente pagando l’oste perché si prendesse cura dell’uomo fino al suo ritorno.
Immaginiamo ora il dottore della legge che ascolta questa parabola, sicuramente aveva il volto triste o meglio non comprendeva il tanto zelo del samaritano.
Gesù fa la stessa cosa con ognuno di noi, non solo si prende cura, ma ci conserva nella sua casa fino al ristabilimento totale di ciascuno e per fare ciò il Signore ha pagato col suo sangue il tributo per il nostro soccorso.
Possiamo dire anche noi che almeno una volta siamo stati come il buon samaritano? Spero tanto di sì.
Il samaritano paga e promette di ripassare per verificare le condizioni dell’uomo, il Signore ha pagato ed ha promesso che sarebbe tornato a verificare la nostra cristianità.
L’uomo sicuramente si rimise e fu anche ristorato, noi possiamo dire la stessa cosa che abbiamo abbandonato il mondo e ci siamo ristorati alla presenza di CRISTO Gesù?
Non fare questo vuol dire non comprendere la potenza di Cristo Gesù, rendere vano il suo gesto personale che ci ha riscattato tutti col suo sangue.
Ma queste sono parabole per insegnarci un comportamento cristiano alla luce della presenza di GESÙ, sono questi, atteggiamenti di gran cristianità personale e se il SIGNORE le ha raccontate ciò vuol dire che lo dobbiamo mettere anche noi in pratica, il Vangelo va vissuto e non letto soltanto.
Due denari erano una cifra importante ma il samaritano aggiunse che ce ne sarebbero stati altri se ve ne fosse stata la necessità. Questo è un altro monito di GESÙ: non essere attaccati ai soldi, quante volte lo ripete nei vangeli, ma di accumulare dei tesori in cielo. Noi abbiamo una gran ricchezza in Cristo Gesù così come la ebbe il buon samaritano.

7.    Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté ne’ ladroni? E quello rispose: Colui che gli usò misericordia. E Gesù gli disse: Va’, e  fa’ tu il simigliante.

Il Signore ha terminato la parabola e si rivolge al dottore della legge per conoscere la riposta. Questi, a colpo sicuro, risponde: “Il samaritano!”; la gente attorno ne è felice, il Signore un po’ meno perché conosce il cuore del dottore della legge. Gesù sapeva cosa batteva nel cuore del dottore della legge, per questo gli creò una parabola ad hoc, parabola questa che lo zittì definitivamente e non conosciamo poi, quale fu il suo futuro. Penso che andò via triste, quasi sdegnato dall’appello di GESÙ, fu scosso nel proprio intimo, ma dubito che poi ci fu un ravvedimento, cocciuto com’era restò per sempre lo stesso.
Molte volte ci siamo trovati nella condizione di non protagonista ed il giudizio è stato facile, mentre poi, quanto siamo noi a sedere sul banco degli imputati, cambiamo atteggiamento. Sappiamo ciò che spetta a noi fare, ma non lo facciamo. GESÙ ci esorta a fare ciò che è nello spirito della parabola stessa.
Avere come prossimo anche il proprio nemico, è una posizione scomodissima, fastidiosa, con questo, però non possiamo esimerci dal fermarci lungo la strada, nostro compito è farlo anche a costo di rimetterci. La parabola del buon samaritano nel corso dei secoli ha convertito molti, ha fatto conoscere l’amore di DIO ed ha avvicinato anche i più ostinati.
La parabola va letta con innocenza e non può essere letta diversamente, correremmo il rischio di valicare la semplicità di DIO. Non ci dobbiamo poi, costruire una ragione per conto nostro, se siamo diversi dal buon samaritano chiediamo al SIGNORE di farci similmente a lui così assomiglieremo a GESÙ.
Cosa si capisce da questa parabola? Se l’uomo percosso trovò il buon samaritano, noi troviamo CRISTO GESÙ. Se usciamo da questa realtà ci troveremo ad imbatterci in molti ipocriti ed il levita e il sacerdote di quel tempo risorgeranno allegri e fieri ad disprezzare le nostre difficoltà.
Cerchiamo d’essere semplici nei comportamenti di non imitare i sapienti del mondo e troveremo nella semplicità di DIO un viatico sereno che ci accompagnerà fino alla mèta.




IL GIUDICE INIQUO

Luca 18 :1
Commento del fratello ALFREDO





1.    Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano del continuo pregare e non stancarsi.

La pazienza di Nostro Signore è inimmaginabile, ci tratta come bambini e ben conosce le nostre scorribande nella vita. Certamente prima di parlare di questa parabola, aveva parlato di tanti altri argomenti concernenti la preghiera, ma talvolta il linguaggio di GESÙ era così semplice che non si riusciva a capire. In modo diverso dal linguaggio comune, il SIGNORE propone delle storielle,  le Parabole, affinché la comprensione  di concetti anche profondi fosse per tutti.
La platea di nostro SIGNORE era durissima e far capire l’importanza della preghiera, a gente che era troppo impegnata o che amava le orazioni liturgiche, non era una cosa semplice. Pregare per fede era un’operazione ardua, ma non impossibile, infatti, l’evangelista Luca con la giustificazione, “per mostrare che dovevano del continuo pregare”, fa intuire una grossa fatica da parte di GESÙ.
Noi siamo come quel popolo, ostile e duro a comprendere anche le esortazioni accorate di GESÙ. Ora, se analizziamo bene quelle parole ci accorgiamo che il SIGNORE ci dice: “per certo quelle preghiere saranno esaudite”, cioè un continuo chiedere, un continuo bussare al cuore di DIO porta i frutti sperati del cuore dell’uomo. L’uomo ignora la potenza della preghiera, soprattutto quando mette se stesso al primo posto.
La relazione PADRE / FIGLIO è importante e stabilisce un giusto equilibrio di soggezione fra le parti, ovvero di rispetto dei ruoli investiti da ciascuno. Noi abbiamo un DIO comprensivo e non arrogante e pertanto dobbiamo considerare DIO come nostro PADRE  a tutti gli effetti. A volte capita che per poter convincere bisogna ripetere insistentemente le richieste, questo metodo si riscontra specialmente con i nostri figli: per vedere fino a che punto una loro richiesta sia importante è necessario che ce la ripetano più volte, poi, noi padri ci convinciamo ed esaudiamo, nei limiti del possibile, la richiesta propostaci.
Così è DIO, ha bisogno di una nostra insistenza per concederci “le grazie” che noi chiediamo, anche se egli ci dà molto di più, perché ci conosce e conosce i nostri desideri, prima ancora che glieli chiediamo. Sfortunatamente oggi non abbiamo più la virtù di un tempo: “la pazienza”; ma è proprio nell’aver pazienza che si riesce ad essere insistenti e ad essere esauditi. Oggi giorno abbiamo bisogno del “subito”, ma questo termine non è contemplato nel vocabolario di DIO. Egli nella sua lentezza è saggio e nella sua saggezza è giusto, pertanto o ci adattiamo a DIO oppure, rifiutando di cambiare ritmi nel nostro modo di vivere, non riceviamo  miracoli nella nostra vita.
Il poco e subito è solo dell’uomo, il molto e duraturo viene da  DIO. Se ci stanchiamo, cerchiamo conforto in un nostro fratello oppure  in un amico che sia più tenace di noi, così facendo faremo, della preghiera, una maratona ed il continuo bussare per fede sortirà gli effetti sperati.
Infine, nostro Signore non ha bisogno dell’insistenza per poter capire l’urgenza di una preghiera, ma è un metodo per misurare la nostra fede, per tenerci in allenamento specialmente nei momenti duri della vita, quindi cerchiamo di guardare a DIO con amore e troveremo una cascata di benedizioni nel momento della richiesta.
E’ necessario dimenticarsi del “subito”, perché la parola del SIGNORE è viva e veritiera ed Egli, che si è una volta impegnato ad assisterci, porterà a compimento le sue promesse. Quindi andiamo ai piedi di DIO con certezza e fede consapevoli che tutte le preghiere sono lette da colui al quale tutto è possibile.

2. In una certa città v’era un giudice, che non temeva Iddio né aveva rispetto per alcun uomo

Il Signore inizia il racconto non descrivendo una città, quindi poteva essere anche il luogo dove dimoriamo. Poi vi è il giudice, ovvero una figura che avrebbe dovuto essere garanzia di giustizia e avrebbe dovuto possedere un codice deontologico,  cioè comportamentale, equo per tutti senza distinzione alcuna, quindi una figura giusta per risolvere le beghe fra gli uomini, ma appena dopo la virgola si legge: “Che non temeva IDDIO né aveva rispetto per alcun uomo”.
Cerchiamo di immaginarci questo sciagurato, di statura medio-alta, con un tono di voce alta ed arrogante, un pizzetto, come barba, ed un passo svelto. Nella sua stoltezza non poteva rispettare le leggi di DIO. Quindi possiamo liberamente dire che era come qualche giudice dei nostri giorni, attento alla carriera ed al blasone, noncurante della verità ed ispirato solo dal suo personale discernimento ed dal suo tenore di vita. Pertanto una persona che aveva come unità di misura della giustizia il suo umore, le sue simpatie o antipatie per i malcapitati.
Ma, cosa importante, coloro lo avevano elevato a quella posizione erano sicuramente altri uomini, più sciagurati di lui, esponenti di una società senza scrupoli e senza etica con una condotta deplorevole e dediti al culto degli idoli.

3. e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui dicendo: Fammi giustizia del mio avversario

Ecco che in quella città vi era una vedova che ricorreva a lui.
Ora, perché una vedova e non una donna sposata? La vedova di quel tempo e di quella società rappresentava l’impotenza alla reazione, quasi un abuso della società verso persone rimaste sole. Quindi, penso, che la figura di un uomo non avrebbe calzato, sia per il linguaggio sanguigno con il quale avrebbe potuto inveire contro il giudice in quanto sarebbe stato irreale il silenzio, sia per capire l’ingiustificato comportamento del giudice nel trovarsi di fronte una donna inerme.
Personalmente questa vedova non entra nelle mie grazie, perché se sapeva che costui era un giudice ingiusto, perché doveva rivolgersi proprio a lui? Non poteva trovare un altro modo per risolvere la lite ?
Ed allora, possiamo pensare che la donna nell’andare dal giudice ha dimostrato di stare dalla parte del torto? Oppure può esserci un’altra sciagurata realtà: in quella città vi era solo questo giudice e non altri, quindi era una strada obbligata da percorrere, allora presentarsi al giudice nella sua innocenza fu un modo astuto per la donna di trovare grazia.
Questo nella logica delle cose, ma nel racconto di GESÙ le cose stanno diversamente. Lui racconta solo il fatto e lascia poco spazio al commento dei protagonisti, giudice e vedova, in altre parole è una parabola fatta d’azioni personali.
La donna chiede “giustizia del suo avversario”, ma un giudice di siffatte caratteristiche avrebbe mai potuto emettere una sentenza giusta? Eppure la vedova, pur sapendo che era iniquo, insiste nel chiedergli soccorso circa quest’avversario.  La donna chiede giustizia, ma, allora c’è da chiedersi, qual era la giustizia che voleva? Forse voleva sfruttare quella singolarità del giudice per accampare un suo disegno malvagio? Questo non è scritto, ma potremmo intuire che volesse vendetta, cioè vedere il suo avversario sotterrato o quantomeno umiliato! Infatti, notiamo che la donna chiede al giudice iniquo di fare giustizia, ma non fa alcuna richiesta di soccorso e indica al giudice che il suo avversario è un nemico, prima ancora di conoscere i fatti.
Quante volte è accaduto che abbiamo fatto ricorso ai nostri potenti solo per il mero gusto di vendetta? oppure per una soddisfazione personale? E’ questo uno dei lati inquietanti dell’uomo, vale a dire la volontà di prevalere sul prossimo ad ogni costo, dimenticandosi di proposito di DIO.
Come la vedova va dal giudice anche noi dobbiamo recarci da DIO in suppliche e preghiere e raccontagli tutti i fatti che ci rendono infelici, fiduciosi poi attendere le sue risposte, ma bisogna fare attenzione, bisogna raccontare la verità e non ciò che ci fa comodo, ovvero l’immediata necessità e non un progetto vendicativo. Quante preghiere sono imperniate di questo virus ed è ovvio che non riceveremo mai una riposta.
Per imparare qualcosa ci converrebbe leggere semplicemente le parole di Gesù, qualunque fossero le intenzioni della donna, perché l’obiettivo del Maestro era di insegnarci che dobbiamo insistere presso DIO per essere esauditi nella preghiera e ricevere il soccorso sperato. Nella realtà il SIGNORE conosce la nostra urgenza e sa benissimo come e quando intervenire, ma ci vuole anche pedanti ed insistenti e desidera da noi una relazione dettagliata della nostra richiesta.
Possiamo anche noi chiedere a DIO di farci giustizia? No, noi possiamo solo presentare i fatti, le conseguenze del male ricevuto, sarà il SIGNORE a fare giustizia, e quella legittima, per quanto stiamo patendo, quindi, delegare al SIGNORE il giudizio ci mette in una posizione di comodo e di certezza.
Talvolta non interpelliamo il SIGNORE nello stesso modo, siamo noi come quella donna a suggerire che tipo di vendetta desideriamo. E’ nello spirito dell’uomo essere così, ma bisogna ridimensionare questo nostro carattere e calcarlo con quello di DIO.
Si poteva scrivere a lungo, ma è conveniente restare nella logica e nel sunto dei fatti, lasciare alla nostra mente la discrezione di un giusto comportamento in sintonia con le leggi di DIO e crescere alla luce della verità e della solerte giustizia divina, che non tarda mai a nessun appuntamento.

4. Ed egli per un tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: benché io non tema Iddio e non abbia rispetto per alcun uomo,

Coerentemente al suo carattere il giudice iniquo manda via per molte volte la vedova. La donna, però, si legge chiaramente, era tornata così tante volte a chiedere giustizia, senza ottenere esaudimento, da colpire addirittura l’insensibilità del giudice che è richiamato ad esaminare il suo comportamento, e a confessare di non temere né la legge di DIO né quella degli uomini. Si intuisce, quindi, che questo giudice conosceva le leggi di DIO e anche quelle umane, tanto da sapere di ignorarle di proposito, sapeva che non rispettava nessuno e per lui questo suo stato professionale era la giustificazione del suo diniego.
Quante volte siamo andati a DIO a ripetere di continuo una stessa preghiera. Il solo fatto che siamo tornati più volte, senza avere risposta, ci doveva far capire che la domanda doveva essere modificata o la richiesta doveva essere più giusta. Invece siamo stati pedanti e le risposte non sono giunte mai.[4]
Ma DIO non è il giudice iniquo, lui attende che l’uomo gli fornisca la giusta preghiera del cuore, una richiesta sincera, non vendicativa e inquinata dalla giustizia terrena. Impariamo pertanto a ragionare con la mente di DIO e le nostre preghiere saranno in sintonia con i tempi di DIO.
Se DIO non risponde alle preghiere non vuol dire che non gli interessano, anzi, come il giudice iniquo rimase per un tempo a sopportare quella donna, così il Signore attende affinché l’uomo si possa redimere e comprenda di regolarizzare la sua supplica. I tempi di DIO sono importanti, fanno crescere, ci fanno comprendere l’importanza della preghiera e ci maturano. Accogliamo con fiducia questi tempi, queste attese, impareremo così ad ascoltare GESÙ nei suoi apparenti silenzi.

5. pure, poiché questa vedova mi dà molestia, le farò giustizia, che talora, a forza di venire, non finisca col rompermi la testa.

L’andirivieni della vedova è un cruccio per il giudice iniquo, lui abituato a non essere molestato per il suo ruolo, si trova adesso di fronte ad un atteggiamento ostile, non è da lui fare giustizia, ma l’asseconderà per non essere ossessionato da questa.
Non dimentichiamoci che la vedova poteva non avere tutte le ragioni, anzi che potrebbe essere stata anche colpevole, infatti, perché la vedova non trovò un accordo con il litigioso, anziché ricorrere all’iniquità del giudice? La donna fu esaudita per la sua insistenza e non per la sua ragione.
GESÙ racconta questa parabola proprio per questo fine: imparare l’insistenza, ma ricordiamoci che a DIO non sfugge la motivazione del contenzioso e che Egli non può essere ingiusto. Impariamo, allora, dalla vedova la sua insistenza ed anche il suo andirivieni, tralasciando la ragione dei fatti.
Insistere nel raccontare i fatti dei nostri crucci al NOSTRO SIGNORE, è importante, lo spingiamo ad interessarsi di noi, se ce ne fosse bisogno. Quando stiamo nel torto ci lamenteremo spesso, forse fino a che non avremo chiesto perdono e Dio e agli uomini, se invece stiamo dalla parte della ragione avremo immediatamente la risposta e l’esaudimento della preghiera.

6. E il Signore disse: Ascoltate quel che dice il giudice iniquo. E Dio non farà egli giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui, e sarà egli tardo per loro?

Gesù termina il racconto della parabola del giudice iniquo e c’invita a considerarlo come esempio.
Com’è bello ascoltare dalla voce di GESÙ che le nostre preghiere insistenti saranno esaudite, come ci rincuoriamo essendo certi di avere un giusto giudice nel cielo e sulla terra il suo Spirito, come ci si rallegra sapere che il male non prevarrà su di noi, anche se ci sfiorerà.
Andiamo a raccontare a DIO i nostri crucci descriviamoli nei minimi particolari e lui ci esaudirà subito perché è un DIO di verità e di giustizia diversamente dal giudice iniquo che non conosceva né le leggi di DIO né quelle degli uomini.





I TALENTI

MATTEO 25: 14.
Commento del fratello ALFREDo





Questa parabola, segue quella delle dieci vergini nella quale il SIGNORE aveva parlato della sua venuta, esortando a stare sempre pronti e non avere il senno distolto da altre cose del mondo.
Giusto per essere più chiaro Nostro Signore ama ripetere i concetti circa i meriti ed i compiti demandati ai suoi, a Lui piace l’azione ed una fede viva e non sorniona. Lui ci ha dato il dono della vita, guai a chi lo sciupa inutilmente o peggio ancora a chi pur essendo credente lo è solo per nostalgia, dura sarà la condanna e aggiunge, “non vi conobbi giammai”. E così, fra un ammonimento e l’altro, si avvia a raccontare la parabola dei TALENTI che tenderà a scuotere gli animi e a spiazzare ogni logica umana.

1.    Poiché avverrà come di un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servitori e affidò loro i suoi beni

Gesù inizia la frase con “avverrà”, vale a dire che per certo la morale di queste parabole è vera e quindi “credete”, ma noi, cocciuti come siamo, abbiamo bisogno d’intimidazioni, scappellotti e spaventi vari, per riuscire a comprendere i ragionamenti di Gesù. Il Maestro doveva dimostrare che la sua “assenza” non sarebbe stata definitiva, ma solo per un periodo minimo di tempo e che i doni lasciati a chiunque, il giorno del suo ritorno, sarebbero stati richiesti.
Quando dobbiamo partire abbiamo la sana abitudine di salutare tutti e di raccomandarci a quelli che lasciamo riguardo comportamenti e mansioni. Per essere tranquilli, lasciamo delle consegne precise, avendo fiducia,  o quantomeno speranza, che le nostre raccomandazioni siano comprese e rispettate.
Situazione poi ancora più importante è la consegna di beni oltre le raccomandazioni. Quali sono i beni? Ad esempio possono essere i soldi, può essere la dignità, l’onore. il rispetto, ecc… Durante l’assenza, il termometro di questi valori vorremmo che cresca e non scenda; in tutti gli investimenti umani, il valore delle cose deve tendere a salire e non a scendere altrimenti ne saremmo fortemente rammaricati e perderemmo l’attaccamento a quel bene  e cercheremo poi di svenderlo.
Osserviamo la particolarità espressa da Gesù: quel signore affida i suoi beni ai “servitori” e non ai parenti. Una condizione questa di gran responsabilità da parte dei servitori, ma anche dimostrazione di rispetto e di fiducia, da parte del padrone. Possiamo immaginare lo sgomento del pubblico nel pensare che le ricchezze di un signore potessero essere affidate ai servi e quindi il mormorio di soddisfazione o disapprovazione, ma in questo modo il Signore voleva parlare a tutti e la parabola doveva essere compresa da tutti.
Gesù, dato uno sguardo fugace qua e là, riprese a parlare con una voce calma, ma decisa. Erano, ora, tutti in “trappola” perché, presi dalla curiosità, suscitata dalla pazzia di quest’uomo che lasciava i suoi beni ai servi, erano entusiasmati a conoscere il resto del racconto.
Molte volte noi non restiamo in trappola ad ascoltare le parabole di Gesù, siamo prevenuti, perché riteniamo di essere intelligenti, ma così noi perdiamo le sue benedizioni ed il senso delle lezioni che ci servono per percorrere questa vita affannosa. Ci manca la curiosità di  quella gente, ci manca l’abbandono e questo perché siamo pieni di noi stessi ed i racconti, anche quelli di Gesù, ci risultano ovvii ed obsoleti.
Possa il SIGNORE catturarci nelle sue parabole e farci innamorare dei suoi racconti che risultano essere la linfa vitale di ciò che siamo e di ciò che desideriamo essere dinanzi al suo cospetto.

1.    e all’uno diede cinque talenti, a un altro due, e a un altro uno; a ciascuno secondo la sua capacità; e partì.

La divisione dei beni non avvenne in modo uguale per tutti, ma giustamente, come precisò Gesù, a seconda le capacità di ciascuno, quindi cinque, due ed uno.
Forse il servo dei cinque talenti fu più compiaciuto di chi ne aveva ricevuto uno, ma certamente non dimenticò che le responsabilità erano moltiplicate per cinque. La mente dei servi chissà quali pensieri percorse, con sì tanto denaro! Talvolta persino le migliori virtù vengono a mancare dinanzi ad un’inaspettata, cospicua, anche se temporanea, fortuna.
Cosa avremmo fatto al posto di quei servi? Considerato che il signore partì, avremmo innanzitutto fatto un check up della nostra vita ed avremmo badato a noi stessi, trovando la soluzione a tanti nostri problemi economici!
Purtroppo un servo non poteva avere di queste aspirazioni perché era sempre e comunque un servo e soggetto alla pena di morte in caso di frode. L’unica cosa valida e possibile per un servo era vivere ed era ciò che passò per la mente di costoro, come avevano fatto fino a quel momento.
Desideriamo rivolgerci al SIGNORE per ringraziarlo dei talenti che ci ha dato, e, già per questo motivo, dobbiamo riconoscergli una gran fiducia ed esserne certi che ci soccorrerà in ogni tempo. Abbiamo la vita, il creato, i nostri fratelli, lui stesso, che ci ha scelto, come nostro aiuto, non sono questi i talenti che ognuno di noi ha ricevuto? A cosa servirebbe essere trasgressori per un tempo brevissimo e poi passare dal giudizio di DIO?
Se poi abbiamo in mente di sopravvivere soltanto, allora faremo uno degli errori più grandi della nostra vita, perciò consideriamo quello che abbiamo ricevuto e chiediamoci perché proprio a noi, sono certo che ognuno capirà ben presto quale sia il valore dei talenti ricevuti e potrà fare un buon programma, con tale ricchezza, in visone del prossimo ritorno di Gesù.

2.    Subito, colui che avea ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque.

Saggio per lo spavento, il primo servitore che ebbe cinque talenti andò ad investirli per farli fruttare e ne guadagnò ancora degli altri, ma rimase fedele al suo padrone. Ora ne aveva dieci e ben poteva prendersi del suo riconoscendosi dei meriti e una onesta ricompensa per il sagace intuito. Invece esaminò la sua posizione e, riconoscente al suo padrone, considerò anche gli interessi maturati della stessa origine dei primi cinque talenti, un dono affidato.
Nella sua modestia dobbiamo imitarlo, lui che nel poco fu fedele, fu fedele anche nel molto e con gioia aspettava il ritorno del suo padrone per festeggiare con lui. Durante la nostra esistenza vediamo che le cose attorno a noi cambiano, aumentano e la paternità di questi cambiamenti li attribuiamo a noi stessi per le capacità che abbiamo avuto, invece la parabola dei talenti ci deve indurre a capire che proprio chi ha avuto molto nella vita deve ricordarsi che dovrà dare molto al SIGNORE e non solo, dovrà descrivere dove ha investito e con quale proposito.
Come lui aspettava con gioia il suo padrone, aspettiamo anche noi Gesù certi che i talenti che ci ha donato nel corso della nostra vita li abbiamo fatti fruttare, attraverso il nostro prossimo, i nostri figli, ecc. Prepariamoci a mostrargli tutto quello che abbiamo per gioire con Colui che è stato ricco con noi nel darci i talenti senza dubbio alcuno, mostriamogli la nostra soddisfazione, il nostro vanto e viviamo nell’attesa di quel ritorno.

3.    Parimente, quello dei due ne guadagnò altri due.

Sono certo che anche questo servitore si rivolse dalla stessa banca del primo, perché anche lui guadagnò altri 2 talenti, il capitale maturato arrivò a 4 e, certamente, fra sé pensò di essere al pari del primo servitore, per aver investito allo stesso tasso. Era un motivo d’orgoglio mostrare al padrone che nel prossimo futuro poteva avere ancora più fiducia in lui, visto i risultati.
Durante il nostro vivere ci capita sovente di fare dei paragoni con i ricchi del mondo senza considerare quello da cui partiamo e ci disperiamo in modo insensato nel paragone.
Impariamo anche stavolta dal servo modesto, lui si accontentò e parimenti al primo fu felice del risultato che ebbe. Se abbiamo ricevuto pochi talenti da DIO da custodire, vuol dire che quelli erano da far fruttare, consideriamo i talenti nel loro numero come un banco di prova per tutti, dopo n’avremo di più e saremo certi di adempiere al compito di DIO.

4.    Ma colui che ne avea ricevuto uno, andò e, fatta una buca in terra, vi nascose il danaro del suo padrone.

Forse questo servo fu preso dallo scoraggiamento, certo è che non andò da nessuna parte per investire il suo talento e lo sotterrò o meglio se lo conservò soltanto. Investito da una scarsa fiducia da parte del suo padrone, volle piangere sulla sua miseria e nello scoraggiamento ebbe un pensiero degno di quel momento. Noi avremmo fatto la stessa cosa, di questo sono certo.
Esaminiamo questo servo, minuto nel suo aspetto, con questo talento in mano, se lo guarda ripetutamente, di sicuro il palmo della mano era molto più grande di quel talento e non avrebbe fatto una bella figura investendolo. E poi dove? “Forse sarà meglio conservarlo, almeno sarò apprezzato per non essere fuggito con il talento”, questi sono stati i pensieri del servo.
Ci si comporta così, quando si guarda altrove e non al compito affidato, il servo “poveraccio” ebbe il torto di aver guardato a quello più ricco e nel paragone soccombette nascondendo il talento senza farlo fruttare.
Siamo capaci d’essere orgogliosi di quel poco che abbiamo ricevuto? Molte volte non è così ed allora si ricorre a stratagemmi per arrivare a mète astute e senza DIO. E’ necessario, invece, far fruttare quello che DIO ci ha dato, saper guardare al dopo e compiacersi della fiducia, anche se piccola, accordataci.
Queste tre figure riassumono i diversi modi di guardare il futuro, anche se tutti e tre hanno ricevuto un compito identico. Infatti, non è nel “quantum” che bisogna guardare, ma nel gesto di chi ci accorda fiducia.
Chi mi commuove di più, però è il servo “ povero” perché non ebbe nessun conforto dagli altri due e fece quello che umanamente era naturale fare. Ma ciò che è lecito per gli uomini non lo è per il SIGNORE, ed allora andiamo ai suoi piedi e chiediamo pietà e misericordia di quante volte pigramente non abbiamo voluto investire i suoi doni posti in ognuno di noi, lasciandoli sotterrati, appunto per mancanza di fiducia.

5.    Or dopo molto tempo, ecco il padrone di quei servitori a fare i conti con loro.

Finalmente tornò il padrone! Ignoriamo se questi sia stato accolto con soddisfazione oppure solo con un “bentornato”, certo è che giunse senza preavviso alcuno.
Stanco del viaggio durato giorni si riposò sereno, si rifocillò e dopo qualche oretta fu pronto per affrontare il resto della giornata, perché … forse siamo nel pomeriggio.
Intanto l’animo dei servi era sottosopra, dare conto al padrone non era una cosa semplice e poi ignoravano il suo umore, certo è che in casa si viveva un clima tagliente, anche le tende non ondeggiavano più al vento, i tempi erano maturi per la resa dei conti.
Ciò che m’incuriosisce è la mancanza di una donna al fianco di quest’uomo, quindi, nella sua solitudine manageriale, descriviamolo attento solo agli affari e non agli affetti o alla mondanità, un tipo essenziale circondato di un mobilio austero e con un carattere taciturno e senza compromessi.
Due colpi di mano ed ecco che i servi accorrono, li invita a sedersi per essere relazionato su tutto circa il tempo della sua assenza. Ormai i giochi erano fatti e da un momento all’altro dovevano rendere conto dei talenti.
Lo spirito mi suggerisce che quest’uomo non aveva amici, e che molto probabilmente volendone alcuni al proprio fianco, stesse cercando delle garanzie da parte di chi viveva con lui.
Signore fa che quando verrai, in quell’attesa, io non sia ansioso come quei servi, che sicuramente si ponevano mille domande, e che il mio accoglierti possa essere caloroso e non timoroso. Fa’ che accoglierti per me sia una gioia, vedere chi mi ha reso pari a se stesso mi fa essere certo della ricompensa. Sì, perché nella tua assenza io ho avuto premura di lavorare nel tuo campo, di imparare molte cose e tu mi chiamerai per nome e non per uno schiocco di dita, già perché mi conosci prima che il mondo fosse e conosci il mio cuore e le mie afflizioni e ti consegnerò i miei talenti a due mani ed in grand’abbondanza e, nella gioia delle mie fatiche, mi riposerò sul tuo “grazie” e potrò vivere tutti i giorni di fronte all’eternità.

6.    E colui che avea ricevuto i cinque talenti, venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: Signore, tu m’affidasti cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.

Il primo servo ad essere chiamato fu quello dei cinque talenti, il quale si presentò con altri cinque di guadagno, nel consegnare quei talenti il servo era piuttosto teso ma fiducioso ed il padrone in silenzio, almeno per il momento, accolse quella somma. Tutti i servi erano in ansia per conoscere il parere del padrone, tranne quello “povero” che era un pochino preoccupato.
Possano le mie mani consegnare tanti talenti nelle mani di DIO e, fiducioso, attendere con un sorriso la sua ricompensa. Talvolta i nostri talenti sono solo promesse del tipo “in futuro sarò….” sono questi soldi falsi, inganni a noi stessi, dobbiamo dare nel concreto ed in fede presentare a Nostro Signore il tutto.
Una vita spesa in attesa del domani è una vita vuota, basata sul nulla, invece dobbiamo riempirla con le nostre capacità, con quei talenti che il Signore ci ha donato prima che andasse via per un viaggio.
Nel farli fruttare, dobbiamo anche cambiare, ci dobbiamo trasformare ed assomigliare a Gesù, diversamente avremo vissuto invano e da poveri.
“E il suo padrone gli disse: Va bene, buono e fedel servitore; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.”
Ed ecco che il padrone dopo qualche minuto di riflessione, si rivolse al servo con parole di encomio, congratulandosi, e gli dichiara che lo porrà ad alti compiti di responsabilità circa i suoi averi e quindi in una condizione sociale elevata e di responsabilità.
Il servo è tutto contento e non osa dire nulla, anche se è molto imbarazzato; già esser chiamato servo fedele è un gran merito, essere abbondato di beni e di incarichi importanti poi sono il massimo. Ciò che non riesce a comprendere è:  “entra nella gioia del tuo signore “. Un servo modesto non aveva mai osato chiedere nulla al proprio signore, ma entrare poi nelle sue gioie, era ancora più incomprensibile.
Questo messaggio, però, appartiene al regno di DIO, o meglio è il suo messaggio per gli uomini, ed allora sindachiamo bene questo passaggio, perché è per ognuno di noi.
Nostro Signore ci ha dato dei talenti (doni) da usare durante la nostra vita, ora questi talenti, sono stati degnamente messi a frutto durante la nostra esistenza oppure li abbiamo lasciati assopiti? I talenti per nostro Signore sono molto importanti perché guardano al cielo e non alla terra, o meglio, ci mettono nella condizione di svolgere la nostra vita terrena e di stare attenti alle esigenze di DIO.
Se fossimo dinanzi a DIO cosa ci saremmo aspettati da Lui? Come ci sentiremmo. Porsi dinanzi a DIO è terribile, perché ciò che siamo svanisce, la nostra coscienza prenderebbe corpo e l’invisibile vita. Avremmo la gioia nel cuore di mostrare a DIO gli interessi dei cinque talenti? Nel momento di riflessione come ci sentiremmo?
Signore donami la capacità di guardare a te e di portarti tanti doni frutto di quel seme che hai posto in me, fa o Signore che le tue parole siano di plauso e non di rimprovero e che possa godere le tue eterne benedizioni. Possa il mio posto essere dinanzi a te, per contemplare la tua gioia e non le mie miserie e, se mi trovassi debole, la tua mano raccogliermi e gustare il tuo volto santo.
Avere i meriti da parte di Nostro Signore vuol dire essere invincibili, avere una vita straordinariamente benedetta, possedere occhi e cuore che pregusterebbero le cose di lassù.
Il plauso di nostro Signore lo possiamo ricevere in ogni momento, perché il Signore ci parla del continuo, quindi il “quando verrà” si riferisce anche al rendiconto in seguito ad una nostra scelta terrena. Va detto che un buon padre, qual’è DIO, non può, prima ignorarci per un lungo periodo e dopo prendersi cura di noi, perché, così facendo, vanificherebbe il dono della preghiera che ci ha dato. Lui si prende cura di noi sempre ed in ogni istante per metterci nelle condizioni di non essere presi alla sprovvista. Dipende poi da noi se la nostra cocciutaggine è malleabile, oppure modellabile ai suoi disegni.
Il premio di nostro Signore, di costituirci su grandi cose, può essere inteso come capacità di dominare su molti nostri problemi e di avere una nuova mente più celestiale, in siffatto modo, l’essere costituiti su grandi cose avrebbe il significato di saper vincere il peccato e tutte le sue tentazioni.

7.    Poi, presentatosi anche quello de’ due talenti, disse: Signore, tu m’affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.

Rincuorato e gioioso il servo si allontana, finalmente si è tolto un cruccio dal cuore e dalla mente, ora il padrone, attende il secondo servo, e vediamo che questo è molto teso perché, rispetto al primo, ha molto meno da offrirgli e quindi, titubante com’è, consegna i quattro talenti al suo signore.
Il padrone lo guarda lungamente senza parola alcuna, ed in quel silenzio il servo capisce che qualcosa non Va. Allora decide di prendere la parola e di anticiparlo, come per giustificarsi rispetto al primo servitore.
“Signore, tu m’affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.”.
Il padrone prende atto di questa solerzia e si appresta a consolare l’uomo e non il servo.
Possiamo noi nella nostra vita essere come questo servo? Possiamo essere giusti anche nell’apparente poco ed avere la sua schiettezza? Ne dubito, nel voler possedere sempre molto ed in grand’abbondanza sono certo che, se ci fossimo trovati al posto di quel servo, avremmo fatto venire un gran mal di testa al padrone, per le nostre inutili giustificazioni. Invece dobbiamo imparare da costui ed essere coerenti con ciò che sappiamo fare, perché se abbiamo fatto le nostre azioni nella correttezza, non avremo niente da temere ed potremo essere sereni dinanzi a qualsiasi giudizio.

8.    Il suo padrone gli disse: Va bene, buono e fedel servitore; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.

Finalmente gli indugi si rompono, ed ecco che il padrone solleva dal suo cruccio il servo fedele, premiandolo come il primo.
Chissà però cosa avrà pensato il primo servitore con i suoi dieci talenti. Vogliamo immaginarci che si sia pentito di aver dato tutti e dieci i talenti e non i quattro del secondo servitore? Possiamo oppure immaginare che, avendo il secondo ricevuto la sua stessa ricompensa, tra sé credeva forse di meritare qualcosa in più?
Certamente qualche pensiero del genere gli sarà balenato dalla mente, mentre il secondo servitore avrà largamente, e più del primo, apprezzato i meriti che il padrone gli aveva appena concesso. Nel poco si è trovato ad avere molto e nel timore di essere rimproverato si è trovato ad essere premiato.
Usiamo anche noi il coraggio di questo servo che, pur essendosi scusato col padrone, si è trovato ad avere molti meriti; imitiamolo ad accontentarci dei talenti che il SIGNORE ci ha dato rispetto ad altri, mentre, talvolta, noi confondiamo i talenti con le conquiste personali della vita. Dobbiamo capire che i talenti sono quelle qualità che in modo effervescente emergono in noi specialmente nei momenti di difficoltà.
Impariamo a non essere invidiosi verso il nostro prossimo, gratuitamente abbiamo ricevuto e, dopo aver lavorato e fatto fruttare ciò che ci è stato donato, dobbiamo donare; così deve essere la vita di un cristiano e di un servo di DIO.
DIO, quale buon padrone che è, vede i cuori e non le quantità e sa darci la giusta ricompensa, generosamente, senza farci mille domande e le sue azioni sono così eclatanti che ci meravigliamo di quanto poi ci dona.

9.     Poi, accostatosi anche quello che avea ricevuto un talento solo, disse: Signore, io sapevo che tu sei uomo duro, che mieti dove non hai seminato, e raccogli dove non hai sparso;

Importante è il terzo servo, infatti, il versetto inizia con: ” accostatosi”. Si capisce immediatamente che questo, a seguito dei premi ricevuti dai primi due, era certo di non poter essere premiato e neanche poteva presentarsi di fronte al padrone come loro, quindi piano, piano cercò di raggiungere la stessa posizione, ma trasversalmente e con le spalle strette.
Nel giustificarsi anticipa il rimprovero del padrone e cerca disperatamente di fare breccia nel suo carattere, infatti, lo chiama “ uomo duro”. In modo astuto, questo servo vorrebbe dimostrare non solo di conoscere l’indole e la personalità del suo padrone con quell’appellativo di “duro”, ma anche di aver intuito il suo modo di agire, essere sempre giusto, lo aveva arricchito. Insiste anche col “mieti dove non hai seminato” e cerca disperatamente di condurlo a addolcire il suo cuore, convinto che per il padrone nulla era impossibile. Era quasi certo di una sua condanna ed allora era preferibile giocare il tutto per tutto e cercare di convincerlo che anche la sua azione infruttuosa era un segno di fedeltà e di rispetto per i suoi ordini: aveva mirabilmente conservato intatto il talento. Ma non era questo il desiderio del suo signore! 
Questo servo raffigura i nostri tentativi da masochisti di difenderci, quando abbiamo torto marcio, o di fronte a chi ci conosce bene o che bene conosciamo. Ma i conti si fanno sempre in ogni istante della nostra vita e specialmente in quell’istante preciso alla consegna del talento. Non possiamo fare di testa nostra e poi trovare una scappatoia di fronte a DIO, se abbiamo deciso un comportamento, dobbiamo essere coerenti fino alla fine e non, come il servo in questione, che cerca di scusarsi inutilmente. Impariamo ad avere una solerte schiettezza di fronte a DIO e, senza indugiare, chiedergli soccorso anche nei momenti dubbiosi.
Il padrone, con la sua esperienza, da quei discorsi aveva capito che aveva posto male la sua fiducia, quindi ascoltava quel servo col volto crucciato e, col la mano al mento, cercava di comprendere le sue ragioni, ma senza successo, mentre gli altri due servi ascoltavano timorosi l’evento.
Le molte parole hanno sempre alla base il falso, quindi è preferibile che dinanzi a DIO ci rapportiamo in modo sincero e schietto.

10. ebbi paura, e andai a nascondere il tuo talento sotterra; eccoti il tuo.

Avrei voluto chiedergli di cosa avesse avuto paura, eppure aveva visto gli altri due servi che, prima di lui, avevano investito i talenti, quindi perchè temeva il suo padrone? Credo che nascose il suo talento sottoterra per il timore di consumarlo per sé, una forma di protezione verso le proprie debolezze.
Giustifica la sua azione al padrone in questo modo, “ebbi paura” e con mano tremante gli consegna il talento, dicendo: “Eccoti il tuo”. Il coraggio e lo spavento di questo servo si notano durante la lettura del versetto che non promette nulla di buono per le conseguenze. Immaginiamo quindi questo servo con la mano tesa e col talento in mano, tutto tremante, uno sguardo vitreo e teso.
Nascondere i talenti, oppure i doni che DIO ci ha dato, è come averlo defraudato in modo ingannevole, gli diciamo con il nostro gesto, che ha fatto male a riporre in noi la sua fiducia, accordandoci il talento. Se questo gesto lo abbiamo fatto, è perché non abbiamo avuto fiducia in DIO e non solo non lo abbiamo voluto ascoltare, ma non abbiamo, di proposito, chiesto aiuto in caso di dubbio. Adombrare DIO con il nostro carattere vuol dire metterlo in un cantuccio, non confidare in Lui e quindi non credere nella sua fiducia di PADRE.
Purtroppo noi molte volte siamo come questo servo, vogliamo primeggiare per le nostre qualità, senza mettere a frutto i doni di DIO. Poi avremo l’arroganza di spiegare e balbettare mille scuse per non averlo fatto. Per essere onesti nei confronti di DIO non dobbiamo solo restituire ciò che ci ha dato, ma anche mettere a frutto il suo dono gratuito. Non dobbiamo ingannarlo quindi, vivendo una vita senza anima, inutile e vuota. Cerchiamo dunque di non restituire quel talento prima di saperlo guardare, conoscerlo e metterlo a frutto, cioè restituiamo la nostra vita dopo averle dato un significato nella relazione con DIO, ultima mèta della nostra esistenza.

11.E il suo padrone, rispondendo, gli disse: Servo malvagio ed infingardo, tu sapevi ch’io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;

Ormai il padrone ha sentito e visto parecchio, si è trattenuto più del doppio del tempo che aveva speso con gli altri due servi, quindi, levatosi in piedi, con lo sguardo truce e l’indice puntato, esclama il suo rammarico. Lo chiama malvagio, bugiardo, simulatore, pigro, e già con questi epiteti sarebbe dovuto morire all’istante, ed invece resta in piedi ed indietreggia di qualche passo, ascoltando il resto dal suo padrone.
Or bene, se il servo conosceva la potenza del suo padrone, perché non si è dato da fare per far fruttare il talento affidatogli? Infatti, la potenza del suo padrone gli avrebbe spalancato molte porte, in quanto era temuto nella sua città, quindi perché non si è fidato della sua grandezza e del suo onore nel popolo.
M’incuriosisce il … “tu sapevi”; quasi certamente questo padrone era come un boss nella città, temuto da tutti e rispettato da tutti, quindi questo poveraccio di servitore si trovò, nel suo spavento, ad accettare il male minore, ovvero a conservare il talento. Tutti i torti non aveva! Come poteva essere partecipe di una così potente fama, in parte anche tiranna, se anche gli altri due servitori, più scaltri certamente, erano mossi da timore più che da un brillante entusiasmo!
A questo punto il servo non poteva dire e fare nulla, e neanche se avesse avuto alle sue spalle mille chilometri gli sarebbero bastati per correrli tutti. Muto di fronte a questi epiteti il servo si appresta a cambiare condizione sia sociale che morale.
Anche questo versetto ha uno sviluppo solo e soltanto per conto di DIO.
Difatti solo Dio è conosciuto e temuto per la sua giustizia, solo Lui ha in sé questa certezza e questo vanto, ed allora diciamo che questo passaggio è esclusivamente nostro e ci deve indurre a considerare che il Signore che noi serviamo è il Dio delle cose impossibili e che nessuna scusa è plausibile presso di lui. Quindi non ci venga mai in mente di trovare scusanti d’alcun genere, muoviamoci a far fruttare il suo talento, a guardare i compiti grandi o piccoli che ci affida in ogni istante della nostra vita, ad avere poche parole ma buone e di non essere tremanti dinanzi al suo cospetto, ma fieri del compito da noi svolto.

12. dovevi dunque portare il mio danaro dai banchieri; e al mio ritorno, avrei ritirato il mio con interesse.

In questo versetto si evince la grandezza da BOSS del padrone, difatti diversamente dal comportamento dei due precedenti servitori, con questo il padrone adopera un linguaggio più diretto. Ripete per ben due volte “mio” e per la prima volta indica il luogo in cui doveva portare quel benedetto talento, in banca. Allora, mi chiedo, perché prima di partire non lo ha consigliato? Quindi suppongo che i primi due erano a conoscenza del luogo dove riporre i talenti, mentre il terzo non sapeva nulla.
Ed allora spezziamo una lancia a favore del 3° servitore dicendo che, pur non essendo stato coraggioso nell’investire, non è stato neanche opportunista nel volersi trattenere per conto suo il talento; forse il padrone avrebbe dovuto essere più mite nei suoi confronti ed educarlo per la prossima volta.
Gesù quando raccontava la parabola dei talenti era già reduce da un’altra parabola, quelle delle vergini, e quindi l’uditorio non avendo capito nulla della prima, ecco che il Signore calca la mano con la seconda. Nel commentarla ho usato un dialogo investigativo, ma certamente Gesù voleva alludere che, non si possono conservare i DONI di DIO, ma bisogna farli fruttare ad ogni costo, bisogna avere acume, intelligenza e cercare di allargare la SUA benevolenza.
I talenti di DIO sono contagiosi, in altre parole incuriosiscono gli altri, spingono il prossimo a visitare chi li ha, perché chi li possiede ha una marcia in più nella vita. È figlio di DIO e non è una cosa da poco, questo deve spingere chi lo è ad impegnarsi a far fruttare tutti i doni ricevuti a costo di consumare la propria vita per questo scopo.
La figura delle banche e degli interessi, è un episodio solo temporale in questa parabola, si potrebbero trovare delle analogie, ma non è il caso.
Lo spirito di DIO è quello che rende efficace la sua parola e fa sì che ciò che promette non resterà senza effetto, e che nulla deve restare fermo ed inerte, tutto deve muoversi, deve contagiare perché la sua parola VIVE e deve vivere in tutti.

13. Toglietegli dunque il talento, e datelo a colui che ha i dieci talenti.

Ed ecco che puntuale giunge la sentenza del padrone che, ormai in piedi ed alle spalle del servo, sentenzia. Il servo non è che si aspettava altro, perché fino a quel momento non aveva ascoltato che intimidazioni e rimproveri, ma ciò che lo umiliò fortemente fu la consegna del suo talento a chi ne aveva dieci, in altre parole al primo servitore, quasi a dire che quello era migliore di lui.
Effettivamente lo fu, ma non migliore, più assennato, perché ascoltò il consiglio del padrone e non esitò un solo istante ad andare ad investire i suoi talenti in banca. Diciamo che fu più furbo, ma il regno di DIO è per chi è scaltro? Talvolta facciamo bellissimi ragionamenti insensati, mentre un altro alle nostre spalle con un semplice “si” si è conquistata la salvezza, e noi stiamo lì a capire il senso di ciò che abbiamo detto.
Ora però il servo ne aveva undici di talenti, ma cosa n’avrà fatto? Sarà ritornato dalla banca, oppure avrà fatto qualcos’altro ancora? Mi sarebbe piaciuto saperlo, possiamo solo immaginarci il prosieguo.
Rendere omaggio ai servi è d’obbligo, non tanto s’impara dai primi due, quanto dal terzo, infatti, quest’ultimo mette in chiaro l’animo umano di fronte a DIO e nel confronto emergono realtà contraddittorie.
Essere onesti e non avveduti e scaltri non è nei piani di DIO, infatti se il suo regno è in espansione, tale successo ed impegno richiede un incremento d’anime nella qualità e non nell’essere prolissi.
Dio dice “discutiamo” e non “parliamo” vale a dire confrontiamoci, cerchiamo di trovare un accordo e non vuole perdere tempo solo per il gusto di farlo, quindi la pigrizia od il timore del terzo servo, secondo le leggi di DIO, non possono essere prese in considerazione e vanno subito scartate, mentre l’azione dei primi due dev’essere presa in considerazione, anche se con riserva.
Nella nostra vita, non possiamo trovare dei compromessi, ma è necessario schierarci dalla parte di DIO, per poter vivere e vivere in abbondanza, Lui è l’elargitore dei doni, dei TALENTI, LUI è la nostra vita.
Se quei servi avevano trovato un padrone severo, ma pronto ad essere generoso, tanto più sarà il nostro Signore con noi per tutto ciò di cui avremo bisogno. Se lo abbiamo ignorato faremo la fine del terzo servo, ma se lo avremo considerato avremo i meriti e, fin da subito, potremo entrare nella sua gioia.
Quindi impegniamoci ad entrare nella gioia del Signore e tutto il resto farà parte dei doveri di DIO, e nulla ci mancherà.

14.  Poiché a chiunque ha sarà dato, ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.

Gesù è alla conclusione della parabola e tira le somme. Certamente sono conclusioni ovvie, ma nel contesto della parabola sono di una durezza estrema, si parla di togliere ed aggiungere e questo nella vita degli uomini, quindi gli occhi sono serrati e la paura è percettibile a lunga distanza.
Dare a chi è meritevole è nei piani di DIO, infatti, ognuno ha avuto i giusti talenti da far fruttare nella vita, ora bisogna considerare se queste persone sono state consapevoli di questi talenti, oppure hanno pensato solo alle vanità del mondo. In questi tempi moltissimi pensano a sé e pochi ai talenti ricevuti, e la miseria dilaga nelle strade ed invano si cerca di trovare un espediente a tale flagello.
Siamo noi il flagello di noi stessi, se abbandoniamo il compito dei talenti e quello di farli fruttare per il nostro prossimo, nelle durissime battaglie della vita, altrimenti saremo come il terzo servo infedele che per paura sotterrò il talento.
In caso di necessità bisogna investire il talento a noi datoci, bisogna mostrarlo con fierezza, è necessario dire a chi apparteniamo, a quel Signore che miete laddove non ha seminato.
Noi abbiamo un DIO giusto e PADRE che retribuisce generosamente ma che ammonisce giustamente, quindi poniamo l’orecchio alla voce di DIO affinché possiamo ascoltare il giusto consiglio, come quello dato ai due servi e vivere alla grande e con una marcia in più. Rigettiamo l’idea del protagonismo, dell’essere pieni di noi stessi, presto ci ritroveremo con la mano stesa ad essere umiliati.
Signore facci ricchi dei tuoi talenti, facci meritevoli di quelli che abbiamo, donaci una vista eterna perché grandi sono i miei progetti, semmai non fossi in grado di far fruttare i talenti, insegnami e guidami perché io possa servirti in grand’abbondanza e consegnarti altre anime come frutto dei tuoi talenti nella mia vita.

15.  E quel servitore disutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Ivi sarà il pianto e lo stridor dei denti.

E’ ancora la voce del severo padrone a sentenziare, non sono bastati i pesanti epiteti al servo, che subito si scorge un’altra condanna, quello di buttarlo fuori di casa.
Forse sarà stato disutile per gli investimenti, ma è stato utile per accudirlo; invece per le leggi di DIO questo 50% non basta, bisogna essere perfetti per poter servire il RE dei RE, e non ci sono mezze misure, bisogna essere in grado di servire in ogni ambito il nostro DIO e non in modo mediocre.
Noi abbiamo un’intelligenza più degli altri, abbiamo un consigliere unico nel suo genere, quindi non possiamo sbagliare. Farlo significa essere stati disavveduti e poco attenti, quindi dedichiamoci con tutto il nostro fervore a servire l’ETERNO e lui ci modellerà a suo piacimento ed entreremo nelle sue gioie e non in quelle del mondo.
Quel servo fu gettato fuori della casa e il mancato asilo sicuro di una casa ed i rimorsi lo avrebbero consumato per sempre.
Molte volte ci siamo trovati anche noi come quel servo, quando abbiamo agito per conto nostro, poi, i problemi grandi si sono affacciati, e ci siamo consumati nei rimorsi, nei ma e nei tanti perché.
Signore se qualche volta questo è accaduto nella mia vita, fa che io possa ascoltarti con sollecitudine che io possa imparare da te che sei mite e giusto, non farmi albergare fuori della tua grazia, ma nel tuo cuore possa trovare il mio giaciglio sicuro in ogni tempo della mia vita.



IL FATTORE INFEDELE

LUCA 16: 1
Commento del fratello ALFREDO




L’instancabile Gesù tiene in allenamento i suoi discepoli che, ormai frastornati dalle tante parabole, non hanno neanche il tempo di riflettere che subito ve n’è un’altra da capire. Non so se i discepoli qualche volta avevano osato dire “ora basta”, sta di fatto che non avendo altro da fare se non essere istruiti alla scuola del Maestro, l’unico impegno era quello di ascoltare Gesù, il quale li teneva bene d’occhio.

1.    “V’era un uomo ricco che aveva un fattore il quale fu accusato, dinanzi a lui, di dissipare i suoi beni”.

A quel tempo, di ricchi ve n’erano pochi davvero ed avere anche un fattore, rendeva quell’uomo ancora più unico. Si viveva di espedienti, talvolta anche di carognate, era una vita per strada, quindi conoscere, nel vero o nel falso, i fatti di chicchessia era un’abitudine quotidiana.
Un bel giorno qualcuno decise di far del male a questo fattore, andò dal padrone e disse che costui stava sperperando i suoi beni in modo dissennato. I benedetti padroni, seppur danarosi erano ingenui e si fidavano del “ vox populi ”, cioè credevano facilmente a calunnie, raccontate come fatti veri.
Immaginiamo: quel giorno era una bella giornata, il padrone si era appena levato dal letto e si apprestava a fare colazione, la presenza di quest’intruso o meglio pettegolo, lo mandò su tutte le furie. Avrebbe fatto bene  a denunciare “il pettegolo” di calunnia e, avrebbe salvato la sua dignità ed il suo casato facendolo arrestare. Invece in quei tempi la giustizia degli uomini non esisteva di fatto, non vi era un codice su cui poggiare le proprie ragioni, mancava il diritto privato. S’intuisce che non vi era neanche nessun rispetto della pubblica morale, insomma  era l’anarchia totale.
Quante volte nella nostra vita abbiamo agito come quel pettegolo, abbiamo architettato un piano e poi siamo andati a raccontare fandonie, quante volte nella furia di far vendetta architettiamo piani strategici degni d’onore militare. Sicuramente non stavamo in pace con noi stessi e il gusto della vendetta era piacevole da assaporarsi.
Gesù c’esorta che stando al suo fianco questi comportamenti non devono aver luogo per nessuna ragione, c’insegna che l’arroganza è la madre della lite, ed in quella pozzanghera c’è solo sporcizia. Quindi restiamo integri nei nostri comportamenti, non sciupiamo il tempo scorticando ragioni lontane, e lasciamo le nostre ragioni nelle mani di DIO ed egli opererà alla grande, consumiamo i nostri passi per la gloria del Signore senza infangare il prossimo.

2. Ed egli lo chiamò e gli disse: Che cos’è questo che odo di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più esser mio fattore.

Il padrone, pieno d’ira girava su tutte le furie, ringraziando il pettegolo per l’informazione ricevuta. Senza batter ciglio chiamò il fattore.
Questi era impegnato a fare conti ed a distribuire compiti per la giornata, ma accorse benevolmente al suo…urlo, quando improvvisamente il padrone, tutto accigliato ed ad un passo da lui, gli chiese spiegazioni circa la calunnia che aveva appena ascoltato, e non solo, già lo congedava dal suo lavoro.
Quel fattore scese dalle stelle, non sapeva che pesci prendere. Ascoltava inerme il padrone che aveva già deciso di cacciarlo e, esterrefatto e stretto fra le spalle, sperava che terminasse quella serie di rimproveri. Il povero fattore fu invaso da rimproveri ingiustificati, se avesse avuto la forza di denunciarlo per calunnia, il padrone avrebbe potuto sperimentare una condanna certa su di sé ed avrebbe risarcito il fattore.
Vedo strano, però, il comportamento del padrone, che pur avendo un fattore, si fidava di lestofanti per i suoi affari, ed invece di tutelare i suoi, li esponeva alla mercé del pettegolezzo. Altra cosa strana poi, è che il padrone chiedesse conto dell’amministrazione, proprio lui che, grazie alla benevola fiducia posta nel fattore, ne aveva ricavato così buoni profitti da non interessarsene fino ad allora, bene, ora vuole essere edotto circa i conti dettagliati dei suoi affari. Sicuramente questo era un padrone con una valutazione di merito molto basso, direi 4, era di quei padroni ignoranti con la pancia gonfia ed il cervello da moscerino, purtroppo in quella circostanza lui era il padrone e non si discuteva.
Ma ciò che discuto invece con il Signore è: “E’ mai possibile che tutti i disgraziati, lestofanti, ladri, farabutti devono essere i protagonisti delle parabole?” Un giorno glielo chiederò, ma credo che Lui voglia che i buoni protagonisti fossimo noi e che costoro li possiamo bene lasciare lì dove sono su due righe di foglio.
Il fattore non aveva risposto alle sue domande, giusto sarebbe stato difendersi, ed invece l’azione definitiva del padrone fu come un secchio d’acqua su di un fuocherello. I discepoli che erano lì ad ascoltare Gesù non capirono nulla, quasi infastiditi cercavano di starsene comodi e qualche grattata sul capo non dispiaceva. Loro non potevano dire: “Non ho capito”, erano i discepoli di Gesù e se ne stavano lì in balìa dei sogni ad ascoltare Gesù che, come un caterpillar, avanzava senza posa.
Il Signore ci insegna che con Lui dobbiamo avere sempre un rapporto costante di rendicontazione, non basta avere la sua fiducia e poi andarcene per conto nostro, è necessario confermare con Gesù la fiducia, che deve essere straordinaria e a prova di pettegolezzo. Certamente Lui non ha bisogno di questo, ma la costanza di scocciarlo del continuo, rientra nei nostri doveri.
Se quel fattore, invece di badare sempre ai conti, avesse di volta in volta coinvolto il padrone nel suo operato, avrebbe ispessito il rapporto di fiducia, e non sarebbe bastato un piccolo venticello per far crollare la giusta condotta del fattore. Noi abbiamo il compito di fare ciò, scocciare del continuo il Signore, rendere conto dei nostri andamenti di vita, dei nostri problemi e rafforzarci con la sua fiducia.
Impariamo questa lezione e ci troveremo più bambini, più coccolati ed anche il nostro pianto sarà sempre ascoltato ed asciugato dalla Sua mano.
Resta che il fattore ha tutta la mia simpatia e solidarietà. Quei tempi sono uguali ai nostri in quanto nella nostra società non si bada più alla qualità di un rapporto di lavoro, ma alla forma che circonda il lavoro stesso, e quel padrone è identico a quelli d’oggi ignoranti e presuntuosi, quindi, quando c’imbattiamo in questi personaggi, ricordiamoci del fattore e certamente la conquista del nostro pane sarà meno amara del solito.

3.  E il fattore disse fra sé: Che farò io, dacché il padrone mi toglie l’amministrazione? A zappare non son buono; a mendicare mi vergogno.

In siffatte situazioni il fattore si trova, suo malgrado, in una condizione terribile: messo alla porta dal suo padrone, fa un resoconto delle proprie capacità lavorative e riscopre di non saper fare null’altro che il fattore. Quindi una via d’uscita non vi era, ma qualcosa doveva pur trovare per assicurarsi almeno un decoro nell’ambito pubblico. Ormai il padrone era uscito di scena, ricorrere a spiegare le proprie ragioni, non era il caso, perché non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe ascoltato un “cacciato per presunta frode”. Sebbene fosse in quella condizione, voleva a tutti i costi spiegare la sua innocenza e questo cruccio lo assillava giorno e notte. Poiché prima di andare via doveva sistemare i conti, era rimasto ancora al servizio del padrone.
I discepoli, ascoltando Gesù, si erano talmente immedesimati che, impauriti, sgranarono gli occhi e rizzarono le orecchie pensando che loro fossero i “fattori”. Gomitate ed occhiate girarono furtive tra i discepoli, mentre Gesù ogni tanto rallentava con la speranza che qualcuno gli facesse qualche domanda.
Gesù stava insegnando questo: in primo luogo di essere avveduti nei rapporti fra le persone, di tutti i ceti; in secondo luogo di avere una buona stima fra il popolo e di non pensare sempre a sé o a quello che si sta facendo in un modo morboso. Questi due punti si aprono nel sociale e, secondo la visione di Gesù, aprono prospettive ampie, di contatto e d’esempio. Infatti noi possiamo portare vantaggi al prossimo solo e soltanto se abbiamo un rapporto con lui, diversamente ci troveremo nella nostra solitudine a contare sogni oppure soldi altrui. Dobbiamo essere aperti a tutte le mentalità, imparare sempre in ogni situazione e non lasciare nulla d’intentato, specie con il prossimo.
Molte volte ci siamo trovati soli, e questo anche nella nostra comunità, per non aver voluto condividere con il nostro fratello gioie e pensieri, nel timore di essere derisi. Posso dire invece che quando ci rivolgiamo ad una persona investita di un compito, questi piacevolmente porge il fianco e sovente il problema o il consiglio giunge, così abbiamo fatto di quella persona un nostro alleato, anche nella cattiva sorte.
Non dobbiamo essere disperati se ci accade qualcosa, il “fattore” si rivolse solo a se stesso, noi abbiamo il dovere di rivolgerci a Gesù e chiedergli aiuto, Lui, diversamente da quel padrone è il SIGNORE, è la certezza del soccorso e la protezione nella nostra cocciutaggine.
Quando ci succedono delle catastrofi nella nostra vita, cerchiamo d’essere solerti a trovare Gesù e non a rovistare fra le nostre miserie, se lo faremo ci troveremo con una mano stesa in soccorso, avremo un valido consiglio ed una via  da percorrere, valida per la nostra situazione.

4. So bene quel che farò, affinché, quando dovrò lasciare l’amministrazione, ci sia chi mi riceva in casa sua.

Finalmente l’astuzia del fattore giunge ad un compromesso alquanto vile, sfrutta l’ignoranza del padrone per accampare un vantaggio per se stesso. Tutti i torti non li aveva, in qualche modo doveva badare pure a stesso, dato che fino a quel momento non lo aveva fatto.
Si macchia, però, di un grave reato penale, furto, falso in bilancio, nonché di concussione. Il comportamento del fattore, può essere dichiarato perspicace in quella circostanza ed in quella società, giacché anche il padrone aveva osato calunniare il fattore senza prove e sbatterlo fuori senza ragione.
Noi non dobbiamo assolutamente ricorrere a questi stratagemmi, ricordiamoci che un’ingiuria può essere ricondotta alla ragione con una semplice spiegazione o, in casi ostili, lasciando che l’ingiuria stessa svanisca alla luce di un nostro corretto comportamento.
Il fattore va alla carica, ha in mente un piano strategico ed è pronto ad attuarlo, ormai lo ha preparato nei minimi dettagli e si appresta a metterlo in pratica. I discepoli finalmente si sono rincuorati, finalmente c’è una buona notizia è tornato il sorriso sulle loro labbra, mentre il Signore con vigore continua il suo racconto. È questa una piccola guerra fatta d’ignoranza e vendette, quante volte, anche noi, ci siamo trovati nella condizione di affrontare il nemico sfruttando i suoi lati deboli e, nella circostanza, di farci alleati un po’ strani, magari chi per un tempo avevamo messo da parte?
Il Signore c’insegna che queste architetture non vanno assolutamente bene, e se ci siamo trovati in un pasticcio lo dobbiamo solo alla nostra superficialità comportamentale, quindi andiamo a discutere con il Signore il da farsi e, nell’attesa, scopriremo un altro modo di affrontare il nostro nemico.
Va detto anche, che tutti i rapporti di lavoro devono essere fatti con scrupolosità ed onestà senza lasciare la possibilità che il nostro stesso lavoro ci crei un danno. Il fattore non conosceva Gesù, mentre noi lo conosciamo e questo ci deve indurre a mitigare il nostro comportamento sanguigno nei momenti di contrarietà nella vita.
Il povero fattore fece tutto per trovare asilo nel momento della distretta ormai prossima, fino a quel momento viveva col padrone, ma ora il cielo sarebbe stato il suo tetto, e quindi pensò bene di trovarsi una sistemazione.
Ma come si sarebbe comportato il fattore se avesse conosciuto Gesù? Qualche reato in meno lo avrebbe commesso, ma dubito che si sarebbe fidato di Lui, avvinto dal suo lavoro e, ormai succube del padrone, non avrebbe avuto altri occhi che solo per il padrone.
Il denaro è il veicolo della solidarietà, il furto quello del rispetto, l’arroganza quello della ragione, in conclusione una pessima società e dei poveracci in un simile ambiente.
Pur di avere una sistemazione, il fattore è disposto a tutto, e riuscirà nel suo intento per l’ingenuità del padrone, colpevole di aver esasperato immotivatamente un suo servo fedele. Meno male che noi possiamo dire di avere un DIO che non ci esaspera, anzi siamo noi che lo esasperiamo, e che troviamo sempre asilo presso di lui in ogni circostanza e che la presenza di CRISTO Gesù ci garantisce attenuanti degni di pace e di speranza.


5.  Chiamati quindi a se ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento bati d’olio. Egli disse: Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: Cinquanta. Poi disse ad un altro: E tu, quanto devi? Quello rispose: Cento cori di grano. Egli disse: Prendi la tua scritta, e scrivi: Ottanta.

Il Signore descrive ora meticolosamente il comportamento del fattore, o meglio la sua azione. I discepoli fanno il tifo per lui e si rallegrano per la sua ascesa, quasi fanno baccano specie PIETRO con i suoi spintoni, anche se qualche break o spuntino avrebbe fatto piacere, e tutti sperano in miracoli tascabili del Signore. In ogni caso andiamo avanti, perchè il racconto ci avvince.
Il fattore pensa fra sé: “Ho fatto del bene e non sono stato apprezzato, ora faccio del male e lo sarò”. Il male del fattore era rubare, ma rubare a chi aveva calunniato, era, quindi, una regolazione di conti che andava fatta. L’idea del fattore era sempre finalizzata a risolvere un fatto concreto: non sapeva fare nulla e non sapeva dove andare; possiamo dire che la sua risoluzione fosse della serie “I regali fanno sempre piacere”. Quindi iniziò a chiamare i vari debitori del padrone e fece loro un allettante ragionamento che gli assicurò un vitalizio lunghissimo, ebbe da costoro vitto e alloggio in cambio di uno sconto enorme sui debiti che avevano verso il padrone.
I debiti condonati furono tantissimi, si può dire dimezzati, ognuno ritornò ai suoi affari piacevolmente soddisfatto e con una buona opinione verso il fattore. Olio, grano ed altra merce andò svenduta, ma il padrone, che era sempre attento agli umori del popolo, si trovò un bel giorno ad ascoltare un altro ruffiano che parlava bene del fattore. Infatti, persone che dovevano restituire al padrone ingenti somme, ora, avendo avuto dal fattore un condono sui debiti, non potevano non lodare il buon fattore, ed il padrone ne rimase entusiasta.
Il fattore divenne famoso per la sua generosità, anche se aveva fatto ciò non per buon cuore, solo per egoistica urgenza, ma i rimpianti non servono, ed a questo punto era felice di avere un pensiero in meno. Certamente non poteva essere più il fattore di nessuno a causa degli sconti che aveva fatto, ovvero perse di affidabilità, ma la legge della sopravvivenza imponeva un carattere scaltro.
I discepoli all’udire ciò furono entusiasti, forse Andrea cominciò a ballare e molti gridavano di gioia, ma il Signore serbava, appena dopo, un digestivo alquanto amaro.
Da questo breve racconto si evincono diverse lezioni di vita:
1.    Non bisogna mai rubare per accampare una vendetta, ma essere onesti, malgrado tutto;
2.    Mai svendere il proprio decoro e la propria onorabilità;
3.    Non bisogna scendere a compromessi con gli opportunisti o calunniatori.
Lasciando stare per un attimo il comportamento contingente del fattore, vediamo quali insegnamenti il Signore ci propone con questo frangente di storia.
Possiamo, per il momento, interpretare la figura del fattore come il nostro mediatore con Dio, Gesù. Lui non ci può fare sconti sui debiti che abbiamo con DIO, i nostri debiti sono i peccati, le cattive abitudini, le false ipocrisie. Possiamo dire a DIO tante cose, trovare scuse, ma Dio non rigetterà mai il suo fattore Gesù, è a Gesù che dobbiamo andare a rendere conto, con Lui dobbiamo vagliare i nostri debiti e vedere quali sono da saldarsi subito e quali da attendere ancora. Bisogna cambiare il nostro carattere, essere sinceri con Gesù e troveremo misericordia presso di Lui egli non ci farà sconti sui debiti, egli ce li ha condonati interamente, perché li ha pagati per noi.
Se il fattore chiamò i debitori per garantirsi una sussistenza, il nostro Signore ci invita perché ci ama e vuole alleggerirci dei nostri fardelli in cambio di niente; ci attende fiducioso per una pacifica discussione, ma statene certi che non tradirà mai la volontà di DIO.

6. E il padrone lodò il fattore infedele perché aveva operato con avvedutezza.

Ecco che il padrone rientra in scena alla grande, la sua ignoranza non poteva svanire nel nulla, ma doveva completare il suo mesto ruolo, e non si preoccupò neanche di fare una figuraccia dinanzi al fattore, poiché ritornava sui suoi passi, l’importante era essere accettato dal popolo.
Il padrone prima di lodare il fattore, era stato informato dal pettegolo di turno (creditore abbuonato dal fattore) dei buoni andamenti degli affari, infatti, lo stesso vedeva che il denaro entrava, i creditori erano soddisfatti e tutti ringraziavano il padrone con saluti e commiati di lode. Lo stesso cominciò a lodare, o meglio ringraziare il fattore dell’andamento degli affari, pesò fra sé, che bene aveva fatto a dargli quella lezione, ed invece così non era perché il fattore si era già procurato un altro modo di vivere e presto lo avrebbe lasciato nella sua miseria di padrone gabbato due volte.
Essere avveduti non significa solo il risultato nelle cose, ma considerare tutto l’andamento fino al risultato conseguito. Il padrone c’insegna a non avere due facce, e quindi ridicole dinanzi al prossimo, ma avere un comportamento giusto con chiunque. DIO, non può prendersi vanto nel vedere un truffaldino, o persone che conseguono risultati con mezzi ambigui, non darà mai il suo benestare, anche se i suoi risultati saranno ottimi.
Dinanzi a Dio bisogna presentarsi semplici ed onesti solo così arricchiremmo il nostro PADRONE (SIGNORE), d’onore e gloria, bisogna nella vita di ciascuno scindere le due situazioni, quelle del mondo e quelle di DIO, ben sapendo che la prima porta anche a DIO. Nel mondo si può essere scaltri, ingegnosi, furbi ecc…ma quando si gira l’angolo, bisogna abbandonare queste meste qualità ed andare umili, ma con carattere, dinanzi al Signore. Quindi troviamo il nostro vanto nell’agire con giustizia ed avvedutezza e troveremo il Signore ad attenderci per festeggiare insieme i buoni risultati conseguiti.
Ecco che il padrone rientra in scena ritornando sui suoi passi, infatti dovette lodare il fattore dell’improvviso buon andamento degli affari. I debitori erano soddisfatti, ringraziavano il padrone con saluti e commiati di lode, probabilmente promettendo anche un rapido saldo del debito. Insomma, penso che l’apprezzamento popolare divenne di altissimo livello per un padrone che dimezzava o diminuiva gli importi dei suoi crediti senza alcuna motivazione!

7. poiché i figliuoli di questo secolo, nelle relazioni con que’ della loro generazione, sono più accorti dei figliuoli della luce.

Nel racconto il Signore si è fatto di una gran durezza, i discepoli ormai sono atterriti e cercano di conoscere il nesso fra questi personaggi che si fanno sempre intriganti e complessi.
Gesù con questa frase fulmina i discepoli li scoraggia volutamente e riferisce che saranno agnelli fra branchi di lupi. Il mondo non conosce CRISTO GESù, oppure lo conosce di riflesso, le sue attività molteplici lo collocano su punti opposti a quelli del Signore. Possiamo scorgere nel nostro quotidiano le varie attività delle persone del mondo e scorgere con indubbia certezza il loro allontanamento dai figli di DIO.
Costoro hanno maturato una concezione della vita più pratica del credente, le loro attività culturali sono sempre basate sul rasoterra su compromessi terreni e come il fattore infedele sa escogitare stratagemmi di dubbia fattura per sovvenire a qualunque necessità.
Certamente noi siamo meno avveduti di loro, perché ci fidiamo del buon senso in Cristo, perché siamo timorosi e rispettosi del prossimo, anche in condizioni estreme siamo sempre più lenti di loro, ma questo non significa che siamo stupidi. Siamo come colombe e talvolta il nostro essere astuti è un modo ridicolo dinanzi al mondo steso.
Gesù quando parlava di questa parabola aveva già sperimentato la diversità dal mondo, e quindi cercava di preparare i discepoli a questa realtà che in ogni caso si sarebbe procrastinata anche lungo i secoli ad avvenire. La sua presenza era l’incoraggiamento ad una diversità comportamentale, in altre parole, anche se i credenti erano meno lesti delle persone del mondo, non dovevano scoraggiarsi, perché al loro fianco vi erano insegnamenti di una qualità gran lunga di quella proposta dal mondo. Magari questa diversità non si poteva notare immediatamente, ma i frutti che si potevano notare a lungo andare erano notevoli.
I discepoli erano attoniti non riuscivano comprendere questo programma a lungo termine e s’erano ammutoliti notevolmente.
La parabola del fattore infedele, indica proprio questo tipo di rapporto, infatti, lo stesso trova prima ostilità e dopo lauto consenso con i vari creditori con comportamenti non leciti, una promiscuità di dubbi comportamenti che comunque fanno vivere in serenità queste persone, e cosa dire poi del padrone a non credere della buona fede del fattore, prima che questi si arrabbiasse, questi personaggi c’insegnano che i comportamenti del mondo sono suicidi con i loro stessi inganni, in loro non vi è la vita ma la morte mascherata in temporanee soddisfazioni.
Noi siamo chiamati ad avere eterne soddisfazioni a servire il mondo con intelligenza e coerenza comportamentale, come lo era GESù, non imitare le conquiste di esso, magari servirle, parteciparvi ma con l’intelligenza del credente.
Noi non possiamo essere “la guerra santa” contro il mondo, il nostro comportamento nel mondo dev’essere dimostrare la nostra diversità e pian piano scalfire il mondo stesso per portarlo a GESù.
La figura di GESù è l’amen di questo sano comportamento, Lui è l’essenza di una coerenza di sani principi nel credente, sebbene nel mondo, dobbiamo misurarci col egli stesso, è necessario sedersi in posizioni diverse per comprenderlo ed amarlo.

8. Ed io vi dico: Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; affinché, quand’esse verranno meno, quelli vi ricevano ne’ tabernacoli eterni.

Il Signore va avanti con questi discorsi, la sua platea stenta a capire i nessi e le ragioni, ma più tardi lo stesso lo farà singolarmente, perché Gesù ammaestrava anche le obiezioni dei suoi negli spazi della giornata.
Ora Gesù impone un certo comportamento, se prima lo aveva imposto come consiglio, ora lo impone drasticamente.
Se il mondo sceglie di vivere in una situazione ingiusta, lasciate che lo stesso si serva come vuole, serviamolo con i frutti che ha scelto di vivere, noi avremo un altro modo di vivere, e questo c’interessa.
In altre parole, non dobbiamo essere la pietra d’inciampo nel mondo, ma la ragione interrogativa nel mondo degli uomini, dobbiamo far scaturire nelle persone quelle domande che portano a scoprire GESU’.
Il mondo ha un suo limite, le continue trasformazioni ci fanno vedere che è sempre alla ricerca di una ragione di vita, di una logica.
Lo vediamo ogni giorno, una società che stenta di salire la china, si ritrova sempre al punto di partenza, con mille drammi in più.
Le persone sembrano come tarli, ognuno cerca di accampare una ragione personale ad una proposta della società, non vi è un comune intendere un comune agire, ma vi sono singole posizioni personali, ci sono tanti “FATTORI” sempre a mercanteggiare a danno del prossimo.
Noi dobbiamo essere gli spettatori di questo mesto scenario, combatterli con la preghiera affinché si ravvedano ed attenderli al nostro fianco con una domanda d’incoraggiamento.
Qualcuno potrebbe obiettare circa il nostro comportamento con loro, ed invece no, noi svolgiamo il nostro lavoro in questo tempo e siamo tenuti a servire con diligenza questo tempo, ma non a comprometterci con lo stesso, il nostro lavoro temporale rimane quello che è in uno spazio preciso di tempo, i valori della vita invece li cerchiamo fra i credenti, nell’esempio verso il prossimo, nelle semine giornaliere, senza cercare lo scontro diretto.
Il nostro merito risiede proprio in questo di aver servito le situazioni illecite di questo mondo cristianamente, di aver svolto candidamente i nostri impegni temporali senza esserci compromessi con lo stesso. Difatti non dobbiamo scendere a compromessi non dobbiamo essere come il PADRONE, pronto ad avere molte ambiguità, ma essere sereni e donare quanto di buono possiamo offrire.
Il Signore ci darà la giusta ricompensa con la vera vita, per questo modo di fare, quindi se saremmo stati avveduti e non ipocriti, se avremo servito il mondo con i suoi gusti, se non ci saremmo venduti a lui, e se non ci saremmo mai lusingati per i suoi frutti, potremo albergare nelle ricchezze eterne, perché il nostro albero maestro è nel SIGNORE GESU’, la nostra comprensione è in colui che ci sta sempre al nostro fianco è in colui che risiede la nostra vita d’ogni giorno.

9.  Chi è fedele nelle cose minime, è pur fedele nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è pure ingiusto nelle grandi.

Con questo altro versetto, Gesù mette a posto le due figure, quello del PADRONE e quello del FATTORE.
Il punto determinate è : “ LA FEDELTA’ ”.
Le cose minime, talvolta sono le cose che noi portiamo per “scontate ” , nel dire… “tanto si sapeva”, ed invece, proprio quelle,  sono le micce per grandi esplosioni.
Sono le nostre piccole abitudini, manie ed altro che durante la nostra vita, pur essendo piccole, diventano vere e proprie barricate. Lì il credente muore, già perché nell’improvviso gigante che compare davanti a sé, si trova perso.
Quante volte è successo a me, e quante volte sono andato di corsa al Signore a chiedere dapprima spiegazioni. Quali: “Signore, certamente ho sbagliato e nello sbagliare non sentivo la tua voce, dimmi come posso riparare,  e se questo non ti costa fatica, fallo tu e tienimi al riparo dalle mie conseguenze.”
Il Signore in questo caso accetta volentieri il compito, perché c’è un dato nuovo : IL PENTIMENTO, a questo punto per FEDE bisogna credere che tutto sta andando a posto, anche se poi, il mondo degli uomini, farà la sua parte , il Signore calmerà la tempesta.
Il sunto di questo, ci porta a non ignorare le PICCOLE COSE, anche se buone, bisogna stare attenti, affinché il Signore ci consideri pignoli, pedanti, insomma come bambini pieni di molti perché! Se sapremo essere fedeli e consapevoli nelle piccole cose e nel rapportarci al Signore costantemente, lo saremo con grande facilità anche nelle grandi cose, in quelle cioè, dove ci vuole una FEDE da SANTI, dove bisogna essere GIGANTI o altro, ma ancora una volta, Lui ci insegna una grande lezione di Umiltà, L’assoggettamento, sì, il segreto sta proprio in questo,  se faremo presente al Signore ogni situazione, Lui ce la consegnerà col timbro di  “APPROVATO”.
Gli esempi biblici in tal senso sono tanti, vedi Davide  e Golia, il Faraone ed il popolo d'Israele,  ecc..
Tutto qui descritto nella fedeltà, lo è in modo contrario nelle ingiustizie, solo che in questo caso, i veri e soli protagonisti, siamo solo noi.
Nella nostra natura di uomini, siamo veramente terribili, siamo capaci di cose assurde, impensabili , meno male che prima che il nostro passo giunga sul ciglio del baratro, ecco le mani forti del Signore che ci afferrano, talvolta  anche in maniera brusca  da farci male ,…ma che ci salva la VITA.
Lì poi,  il buon uomo avveduto,  deve cercare prima la GRAZIA e poi tutto il resto; quante volte, autori di brutte situazioni non siamo stati più in grado di tornare indietro,  ma piacevolmente esserne travolti. In questo scenario senza grazia, bisogna saper dire poi, ad alta voce … “mi pento, non lo faccio più”, per poter ristabilire un buon rapporto di ritorno.
Facciamoci quindi carico, dapprima delle nostre fragilità e poi del nostro coraggio, senza  essere presuntuosi, per  fare grandi cose per il Signore e per noi stessi.
SE LA FEDELTA’ E’ DA DIO , IL CORAGGIO E’ DELL’UOMO.

Conclusione

Vedo con altri occhi, un PECCATO lontano, un forte odore acre, fatto di abitudini, commiserazioni, rassegnazione ed una fede poi, stanca e stantia, quasi a voler dire….. “ci pensi qualcun altro”.
Su questo tema si scontra tutta l’umanità e cosa appunto importante ed inquietante  è che mi accingo a concludere questo libro, oggi dicembre 2011, in cui tutto il Mondo è stato preso al laccio della  NON FEDELTA’ al Signore.
Nel perdere il nostro protagonismo, anche con Colui che ci vuole stretti a sé , ci siamo smarriti nel nulla, in una illusione che ci ha fatto prendere il largo nelle nostre VANITA’  e talvolta in stagni puzzolenti di abitudini senza vita.
Ancora oggi, e con argomenti che colpiscono tutti, dobbiamo rinnovare la nostra FEDELTA’ a nostro Signore, con un concetto e impegno nuovo, senza mai più essere opportunisti con appagamenti quasi illusori per noi stessi, di una fede che talvolta non c’è più.
Facciamo “PACE” con DIO, prendiamolo sottobraccio, quasi pizzicandogli la guancia, una smorfia di compiacimento ci starebbe anche bene, e sono certo che il Signore, condividerà amorevolmente questo NOSTRO RITORNO.
 Io che scrivo queste cose, mi commuovo e torno fanciullo, in una età quella che non ha mai abbandonato il mio cuore .
Sì è propria questa la forza dell’uomo, tornare fanciulli, il non  aver mai voluto  crescere dinanzi agli occhi di DIO per stare sempre con lui, anche se poi, ciò che siamo è un altare spoglio e talvolta ripudiato da noi stessi.
Cerchiamo di essere ciò che abbiamo nel cuore e nei nostri pensieri, per vedere un  Signore molto vicino a noi e anche dentro di noi, con i nostri stessi occhi e cuore, con le nostre stesse ambizioni, per camminare fieri e forti con Colui che tutto può, e  laddove vi fosse  eventualmente qualche ritorno a rancori passati, beh , avere qualche gesto di pietà, in fondo ciò che avremmo lasciato è stata la parte peggiore di noi stessi !


BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Io, al secolo ALFREDO GIOTTI, nasco nel lontano 11 maggio 1954 a Giovinazzo, in Via Spirito Santo, nel cuore del paese vecchio.
Non era l’abitazione  di famiglia, ma un’umile casa  della mia nonna VINCENZA, umilissima e DEVOTA di DIO.
Resto in quel paese vecchio per oltre 40 anni. Papà era Sarto, mamma una semplice casalinga, ma in quella bottega, eravamo..UNA FORZA.
Cresco da solo nel mio credo ed anche nella vita, tale solitudine mi coinvolge data l’emigrazione negli USA del mio papà.
ESTREMISTA CATTOLICO, ma mai conoscitore della bibbia, durante quegli anni, m’incammino nel RINNOVAMENTO nello SPIRITO SANTO e successivamente fra i NEOCATECUMENI.
A 40 ANNI il Signore mi chiama nel MONDO dei CREDENTI EVANGELICI, l’8 agosto 1999 nasco di nuovo .
Sposato con Teresa, anch’essa del Signore, ho 2 figli : GIANFRANCO e SAMUEL.
Il mio lavoro è Agente di Viaggio, anche se nel mio cuore c’è stato sempre dell’altro.  GRADITO da DIO, la mia vita è stata ed è un vero combattimento all’ultimo sangue.
Ho molti titoli scolastici, ma il migliore è quello che mi ha dato DIO in Cristo Gesù..la SUA PAROLA VIVENTE.
Sono cocciuto di natura, ma un grande amico di tutti sempre leale e pronto alle battaglie, specie quelle perdenti dinanzi agli uomini, ma vincenti dinanzi a DIO. Desidero essere ricordato per quello che ho saputo dare agli altri, perdonato per quello che non ho voluto fare, perché debole.
Vorrei qualcuno che scriva di me : ALFREDO, L’AMICO di DIO

A chi legge,offro una cascata di benedizioni certe con questo salmo  91
LA SOLUZIONE E' LA FEDE

Chi dimora nel riparo dell’Altissimo, riposa all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico all’Eterno:"tu sei il mio rifugio e la mia fortezza,il mio Dio,in cui confido".
Certo egli ti libererà dal laccio dell’uccellatore e dalla peste mortifera.
Egli ti ricoprirà con le sue penne e  sotto le sue ali troverai rifugio;la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.
Tu non temerai lo spavento notturno, né la freccia che vola di giorno,
ne la peste che vaga nelle tenebre, ne lo sterminio che imperversa a mezzodì.
Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma a te non si accosterà.
Basta che tu osservi con gli occhi; e vedrai la retribuzione degli empi.
Poiché tu hai detto:"O Eterno, sei il mio rifugio", e hai fatto dell’Altissimo il tuo riparo, non ti accadrà alcun male, ne piaga alcuna si accosterà alla tua tenda.
Poiché egli comanderà hai suoi Angeli, riguardo a te, di custodirti in tutte le tue vie.
Essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non  inciampi in alcuna pietra.
Tu camminerai sul leone e sull’aspide,calpesterai il leoncello e il dragone, poiché egli ha riposto in me il suo amore io lo libererò e lo leverò in alto al sicuro, perché conosce il mio nome.
Egli mi invocherà e io gli risponderò; sarò con lui nell’avversità: lo libererò e lo glorificherò.
Lo sazierò di lunga vita e gli farò vedere la mia salvezza.




[1]             Gv. 17
[2]             2 Re 20:1-11
[3]             1Gv. 4:20,21
[4]             Giacomo 4:3

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